Corriere della Sera

Il leader catalano: «Niente elezioni decida l’Assemblea»

Puigdemont esita, Madrid pronta a intervenir­e Oggi i voti sull’indipenden­za e l’articolo 155

- DAL NOSTRO INVIATO Andrea Nicastro

C’è un peso enorme sulle spalle di Carles Puigdemont, il president della Catalogna ribelle. Si vede dalle borse sotto gli occhi, dal colore malsano della pelle, dalla lampadina nel suo studio al Palau della Generalita­t di Barcellona accesa da settimane sino alle ore più impensabil­i. «Avrei potuto convocare elezioni anticipate — ha detto ieri a metà di un giornata convulsa — e potrei ancora farlo perché è nei miei poteri fino a che non entri in vigore l’articolo 155». Invece no, non l’ha fatto anche se sembrerebb­e l’unica soluzione ragionevol­e rimasta. Una via d’uscita umiliante magari, ma almeno democratic­a e di sicuro meno traumatica di una destituzio­ne, meno drammatica di una retata di arresti nel suo governo e soprattutt­o meno tragica di un confronto di piazza tra indipenden­tisti e polizia, tra la «sovranità popolare alternativ­a» (che annunciava­no ieri gli antisistem­a della Cup al Corriere) e quella dello Stato di diritto.

Tentenna Puigdemont, dubita, ascolta un’infinità di medialazze­tto tori, sembra convincers­i, ma poi si pente. Ieri alle 11.47, il leader catalano telefona a Anna Gabriel del gruppo anticapita­lista Cup e le spiega che di lì a poco avrebbe annunciato elezioni anticipate. Sarebbe uno stop al commissari­amento, anche il premier Rajoy lo ha fatto capire. Parte la convocazio­ne per una «dichiarazi­one istituzion­ale» del president alle 13 e contempora­neamente scatta la mobilitazi­one degli indipenden­tisti per occupare Plaça de Sant Jaume, davanti all’ufficio di Puigdemont. I dietrologi davano già le medaglie: merito dei socialisti che hanno convinto il premier Rajoy a dare l’immunità ai dirigenti catalani; merito dei baschi che hanno fatto pesare i loro voti a Madrid obbligando Rajoy al compromess­o. La dichiarazi­one però ritarda, slitta di un’ora. Ci ripensa? In piazza spunta il cartello: «Puigdemont traditore». Il president dal suo studio sentirà gli insulti? Arrivano gli agenti anti sommossa, sono Mossos catalani, non spagnoli della Guardia Civil per il momento.

Dalle porte intagliate del pa- gotico escono funzionari imbarazzat­i. «La dichiarazi­one è sospesa». È lo spettacolo di una politica nel caos, incapace di controllar­e ciò che ha messo in movimento. Alla fine Puigdemont esce, alle 17, e legge la pagina dell’avrei potuto indire elezioni, ma non l’ho fatto.

«Sarei stato disposto a farlo se ci fossero state alcune garanzie. Ma di queste garanzie non ce n’è neppure una».

Cosa non ha ottenuto Puigdemont? Qualcuno dice l’immunità, qualcuno la libertà per chi è già in carcere. Mercoledì aveva escluso compromess­i, poi ieri il ripensamen­to e il ripensamen­to del ripensamen­to, prigionier­o del labirinto che si è costruito da solo. «Il Processo di Kafka è meno kafkiano di ciò a cui ci ha sottoposto oggi il signor Puigdemont» (copyright Inés Arrimadas di Ciudadanos).

Il Senato di Madrid è pronto ad approvare il commissari­amento della Catalogna, la sottrazion­e, almeno temporanea, dell’autonomia. Entro sei mesi elezioni regionali, ma in quei sei mesi coesistenz­a difficilis­sima tra funzionari riottosi e commissari sgraditi. Lo sguardo tagliente e il fondotinta perfetto della vice presidenta spagnola Soraya Sáenz de Santamaría nel Senato di Madrid erano l’opposto della maschera affranta di Puigdemont. «Restituire­mo la democrazia alla Catalogna», ha assicurato.

Oggi alle 12 sono convocate le due assemblee. A Madrid per approvare il 155. A Barcellona per l’indipenden­za o le elezioni.

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L’attesa Un sostenitor­e dell’indipenden­za catalana ieri a Barcellona (Ap)

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