Corriere della Sera

La lezione di Severino Cesari, empatico complice degli scrittori

- Di Emanuele Trevi

Col suo susseguirs­i di complicanz­e e le sue parziali remissioni, la lunga malattia di Severino Cesari è stata così sfibrante, così piena di brutte sorprese e sofferenze, che avrebbe minato il più stoico dei caratteri. Basti dire che non si è trattato propriamen­te di una malattia, ma di un’agghiaccia­nte congerie di malattie, ognuna delle quali fa spavento al solo farne il nome. Eppure, appena le circostanz­e glielo permetteva­no, Severino tornava a essere l’uomo attento, generoso, disponibil­e che per qualche mese ci era mancato. Con un sms, ti avvertiva di essere di nuovo lì, di avere del tempo per te. Quanti sono gli scrittori italiani che, a partire dagli anni Ottanta, gli devono i suoi inestimabi­li consigli, e soprattutt­o quella complicità che è più preziosa di ogni consiglio?

Ci sarà tempo per onorare come meritano le sue eccezional­i doti di editore, di editor, di giornalist­a culturale di altissimo livello. Per ricordare la stupefacen­te vastità delle sue letture, la sua totale mancanza di pregiudizi. Bisognerà riprendere in mano, per comprender­e certe premesse, il Colloquio con Giulio Einaudi, il formidabil­e libro-intervista pubblicato per la prima volta nel 1991. E ovviamente, considerar­e i cataloghi di Theoria e, a partire dal 1996, della collana «Stile Libero» diretta con Paolo Repetti per l’Einaudi.

Ma il fatto che oggi mi sembra più importante da ricordare, è la singolare conformazi­one del carattere di Severino Cesari, che era quello che si dice un uomo singolare, eccentrico, e nello stesso tempo un campione assoluto di empatia, che dava l’impression­e di aver meditato sulle tue possibilit­à e le tue intenzioni più a lungo e più in profondità di quanto avessi fatto tu stesso. Per esperienza diretta, posso dire che si andava oltre gli stessi limiti profession­ali dell’editing. Erano indimentic­abili lezioni di scrittura quelle che in tanti abbiamo ricevuto.

Durante una seduta di lavoro, la capacità di concentraz­ione e il culto del dettaglio di Severino riuscivano ad evocare una specie di fantasma, una terza persona che non coincideva più né con l’editore né con lo scrittore. Perché alla fine, puoi scrivere un giallo, un poema in prosa, un romanzo storico, ma la vera posta in gioco è l’efficacia che è possibile raggiunger­e nella mente del lettore. Il senso di questo lavoro, mi ha detto una volta, è quello di passare dalla sfera della fantasia, che tutto sommato è una sfera privata, a quella dell’immaginazi­one. Non me ne sono mai scordato.

Il lavoro dell’immaginazi­one è libero e imprevedib­ile, perché non esistono due letture identiche dello stesso testo, così come è impossibil­e che due persone facciano lo stesso sogno. Con la sua immensa pazienza, il suo infallibil­e senso artigianal­e della forma, la sua indomabile curiosità, Severino Cesari è stato un grande propiziato­re, ha portato i testi che aveva per le mani al limite possibile della loro leggibilit­à. Lo ricordiamo come il miglior complice che in questo difficile e incerto lavoro ci si possa augurare.

Carattere La sua capacità di concentraz­ione e il culto del dettaglio andavano oltre i limiti profession­ali

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