LE MASCHERE DI HENRI
A Milano una mostra che ripercorre la carriera del francese. Non solo attraverso le (celebri) stampe: nei suoi tanti ritratti meno noti affiora l’importanza della fotografia. Per noi l’ha vista un artista che lavora con gli scatti QUEL CONFINE TRA OBIETT
«La fantasia è come una marmellata da spalmare su un pane solido per evitare il molle del banale». Ecco, è stato con questo pensiero di Italo Calvino che io mi sono sempre avvicinato alla fotografia. E ho sempre guardato all’arte e alla sua storia per ritornare, poi, con il mio sguardo e la mia progettualità alla fotografia stessa.
Quando iniziai a manipolare le polaroid nel 1983, la mia fotografia era carica di contaminazioni con l’Impressionismo. E Henri de ToulouseLautrec era il mio punto di riferimento: con il segno della manipolazione «alleggerivo» l’immagine, volevo realizzare fotografie dall’aspetto di delicate pitture, cercavo la poesia sotto la pelle dello sguardo.
Così mi sono approcciato alla mostra milanese dove sono esposte le opere di Toulouse con i miei ricordi di fotografo ragazzo diventato adulto. In rassegna ho rivisto il mondo parigino di questo artista, un mondo che attraverso i suoi disegni ed i suoi dipinti racconta la città di fine Ottocento. Al lavoro di Lautrec hanno guardato in molti: per esempio, nel dipinto Monsieur Caudieux ci ritrovo il mondo di Federico Fellini e lo stesso regista mi appare nei ritratti di Aristide Bruant. In queste due opere, l’universo del regista mi compare nel suo reale e nel suo splendore.
Nel Portrait de Monsieur Louis Bouglé ci ritrovo il silenzio dei miei ritratti, un silenzio che nasce dall’immobilismo del soggetto colto nel suo interiore, alla ricerca della personalità del soggetto stesso e non di una sua espressione. Questa teoria era tanto cara ad Henri Cartier-Bresson nei suoi ritratti realizzati con lo spirito della «zanzara pungente», come descritto in modo stupefacente nel testo di Jean-Luc Nancy quando parla dei ritratti del fotografo (come la zanzara punge e coglie un attimo di sbigottimento, allo stesso modo la fotografia immortala un momento unico, ndr).
E pertanto trovo meravigliosa la sessione della mostra dedicata ai ritratti di Lautrec, raccontano del pittore quale grande analista e poeta della femminilità moderna.
Tutte le donne raffigurate emanano una spiritualità che ti «abbraccia» all’opera, in un rapporto silenzioso e commovente. Difficile dimenticare lo sguardo di Carmen la rousse, mi buca lo stomaco, mi parla. Nell’opera Tête de file del 1892 mi appare la Marella Agnelli di Richard Avedon del 1953: e infatti dopo sessant’anni il fotografo ha guardato al pittore per raccontare l’eleganza e la regalità che regnano dentro la donna, nella nuda bellezza del suo collo che ne celebra il volto.
Lautrec amava tanto le donne e nella sua imperfezione fisica si è approcciato al mondo femminile con uno sguardo delicato, raffinato: la sua Madame Poupoule â la toilette è musica, vorrei rivederla in una stanza vuota ascoltando Glenn Gould che esegue le Variazioni Goldberg di Bach, la versione del 1981, dove il pianista suona in modo struggente con una postura identica a quella di Madame Poupoule, portando la sua musica in una spiritualità senza tempo, pregnante nell’opera di Lautrec, dove il lirismo dei capelli è la musica che Glenn suona.
Osservando Au lit, opera del 1892 ci ritrovo il Michelangelo Antonioni che tanto ho amato nei suoi ultimi lavori, quelli nei quali la semplicità dello sguardo è una carezza che ti abbraccia con una sognata fragilità.
Il pittore ha avuto una vita complicata: l’assenzio era un suo inseparabile compagno di vita, ma, nonostante ciò, nelle sue opere ci trovo sempre uno sguardo lucido, con una grafica che ha fatto scuola. Guardando opere come Le Photographe Sescau, La Chaine Simpson, Confetti, non posso non cogliere dove il grande Warhol ha guardato per iniziare a scrivere la storia della sua Pop art. Di Lautrec amo molto anche Elsa, dite la Viennoise, una litografia che raffigura (appunto) Elsa, donna che mi ricorda la divina Marchesa Luisa Casati vestita da Paul Poiret, la stessa Marchesa Luisa Casati raccontata dal Boldini nel suo dipinto del 1914, è presente nell’opera dedicata alla famosa ballerina Mademoiselle Marcelle Lender.
La mostra di Lautrec è una partenza del Futurismo di Fortunato Depero, che ritrovo nell’opera Jane Avril, un ballo plastico del 1892, un opera carica di movimento dove il volto
è sfuggente ed il movimento è accentuato dalla dinamicità del volto che quasi sfugge al corpo.
Mi ha emozionato tantissimo la mostra di Lautrec: non capisci mai quando sei arrivato alla fine, quando pensi di averlo decodificato e fatto tuo, lui ti spiazza con una nuova opera sorprendente. Stanza dopo stanza ti avvolge con la sua storia di uomo problematico ma artista efficace, capace di emozionarti e di donare al suo tempo un’aura di sogno irraggiungibile, all’interno della quale Parigi diventa una meta onirica per tutti quegli artisti come me che guardano alla storia per riscriverla, per rimangiarla.
Con Lautrec mangio la storia, mi emoziono, il battito del mio cuore scrive con i miei occhi, la fotografia mi avvolge, il piccolo grande uomo Henny Toulouse-Lautrec mi dona la gioia, il mio sguardo si riempie della bellezza carica di silenziosa estetica del suo lavoro.
Mi sento vivo e vorrei che non finisse mai.
L’ispirazione Guardando lui ho iniziato a manipolare le mie foto, alle quali volevo dare la grazia di pittura delicata