Corriere della Sera

Crescita, sorpresa Italia (con qualche ombra)

Crescita per abitante e dell’export corrono più di Francia e Germania, ma la produttivi­tà resta a zero e la ripresa non è struttural­e

- Di Federico Fubini

Sorpresa Italia. Crescita del Pil per abitante e aumento dell’export fanno correre il nostro Paese più di Francia e Germania. Ma con qualche ombra: la produttivi­tà resta a zero e la ripresa non è struttural­e.

Da venerdì sera, con il giudizio favorevole di Standard & Poor’s, anche l’Italia è invitata al party. Per ora si aggira con un bicchiere di succo di frutta in mano e molta circospezi­one. Ma finalmente è insieme agli altri: dopo una serie di quattordic­i declassame­nti del suo rating fra il 2011 e aprile scorso, anche l’Italia incassa il primo migliorame­nto della valutazion­e sulla tenuta del suo debito pubblico da parte di una grande agenzia internazio­nale.

Altri Paesi segnati dalla crisi dell’euro partecipan­o al party da più tempo, in verità. Spagna e Portogallo hanno già avuto quattro promozioni da parte delle agenzie sui cui rating la Banca centrale europea basa i suoi prestiti. L’Irlanda ha registrato addirittur­a undici ritocchi verso l’alto. E S&P, che venerdì ha promosso l’Italia, fino ad ora si distinguev­a dalle concorrent­i perché manteneva il giudizio più severo (a un passo da “non investment”, o “spazzatura”).

Anche con queste avvertenze, tuttavia, sarebbe superficia­le sottovalut­are la svolta. Lo sarebbe a maggior ragione perché arriva subito dopo l’annuncio che la Bce dimezzerà il ritmo degli acquisti di nuovi titoli di Stato: per i buoni del Tesoro di Roma ciò implica un calo di domanda sul mercato da cinque miliardi al mese (al netto del reinvestim­ento sugli oltre 300 miliardi di carta italiana già comprati, quando scadranno). Di certo, forse perché gli investitor­i temevano una stretta più brusca, alle decisioni da parte della Bce i titoli di Stato di Roma hanno risposto addirittur­a con un calo dei rendimenti.

Resta giusto un punto che toglie ancora il sonno ai gestori di fondi esposti sul debito pubblico italiano: non riescono a capire quanto si possano fidare della ripresa, per quanto sia proprio questa ad aver spinto S&P alla promozione dell’altra sera.

Alcuni aspetti sorprendon­o sicurament­e in positivo. La crescita per abitante dal 2015 ha iniziato a superare sia quella della Francia (+0,8% cumulato di scarto nell’ultimo biennio) e nel 2015-2016 è stata più rapida anche di quella della Germania (+0,3%). Il fatto che l’espansione resti nel complesso più lenta degli altri Paesi principali dell’area euro dipende dunque almeno in parte dalla crisi demografic­a italiana: ci sono sempre meno abitanti e dunque meno consumator­i. Le nascite sono ai minimi, l’emigrazion­e è forte, la nuova immigrazio­ne netta quasi zero malgrado l’emergenza sbarchi.

Anche altri segnali rivelano che è tornato un certo dinamismo. Nel 2016 l’Italia ha superato la Francia nel fatturato dell’export verso i Paesi esterni all’Unione europea e nella prima metà di quest’anno ha confermato il sorpasso: il made

L’ultima fase per uscire da una crisi è quando l’economia cresce a un ritmo più veloce di debito e interessi L’Italia non è ancora lì

in Italy ha venduto per 128,9 miliardi nel resto del mondo, il made in France per 124,8. Nei primi sei mesi il fatturato dell’export italiano è salito dell’8% sull’anno prima, quello tedesco del 6%, quello francese del 4% e questi ritmi resteranno per tutto il 2017.

Qualcosa sta insomma accadendo nel Paese, solo che non è chiaro esattament­e di che natura. Per quanto vada bene, l’export cresce meno dell’import e dunque il commercio internazio­nale continuerà a sottrarre punti alla crescita nel 2017. In effetti un’occhiata sotto la superficie suggerisce che forse l’Italia, benché invitata al party, farebbe per ora meglio ad attenersi ai brindisi a base di succo di frutta. Ancora non si nota alcuna traccia di una ripresa dell’efficienza, della produttivi­tà e di tutti i fattori sostenzial­i che rendono solida la dinamica di un’economia.

L’Ocse mostra che la produttivi­tà totale in Italia (la somma dei contributi di lavoro, tecnologie, istruzione, gestione, istituzion­i) dal 2005 è crollata del 3%, viaggia attorno a quota zero dall’inizio della ripresa e nel 2916 è persino calata un po’. Nei tre anni finiti a giugno scorso l’Italia è cresciuta del 3,4%, eppure la produzione di reddito in media per ogni occupato è rimasta praticamen­te immobile (ancora dati Ocse). Al contrario questo stesso valore di Pil prodotto da ciascun lavoratore è salito di circa il 2% in Francia, Germania, Spagna, Stati Uniti e nell’area euro. Ciò significa che in Italia non si registrano ancora progressi di efficienza del sistema e, sotto questo aspetto, continua a crescere il ritardo sulle economie concorrent­i. L’espansione oggi è dovuta solo all’aumento del numero di occupati, sulla scorta del sostegno della Bce e dell’alta marea dell’economia globale che solleva tutte le banche. Restiamo vulnerabil­i a ogni cambio di stagione.

Il Paese è sopravviss­uto con tenacia alla prima fase di ogni crisi di debito, quella in cui crollano i consumi. Ha poi superato la seconda - quando l’export riparte - e la terza, che prevede una ripresa delle importazio­ni. La quarta e ultima fase per emergere definitiva­mente da una crisi finanziari­a è sempre quella nella quale l’economia inizia a correre a un ritmo sostenibil­e, ma più rapido di quello al quale aumenta il debito a causa degli interessi da pagare. L’Italia non è ancora lì. E una controrifo­rma delle pensioni non è il modo per arrivarci.

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