Corriere della Sera

«La legge elettorale? Al Nord per il Pd è un problema serio»

Gori: un errore snobbare i temi autonomist­i

- di Andrea Senesi

«Con Monti e con Renzi si è cercato prima di controllar­e la spesa pubblica, poi di modernizza­re il Paese dall’alto. Ora si riaffaccia l’esigenza di modernizza­re l’Italia partendo invece dal basso, dai territori». Giorgio Gori, da sindaco pd di Bergamo si è schierato, «nonostante la propaganda leghista», per il Sì al referendum autonomist­a voluto da Roberto Maroni e ora si candida a sfidare, per la guida della Lombardia, proprio il governator­e leghista.

Il sondaggio di Pagnoncell­i è impietoso: il Pd rischia di perdere nei collegi uninominal­i del Nord. Dove si è sbagliato?

«Il centrosini­stra è riuscito in questi anni a creare una classe dirigente alla guida delle città. È vero però che c’è l’urgenza di recuperare dal nostro repertorio l’attenzione per il Nord. Nella storia della sinistra la questione settentrio­nale è stata spesso centrale. Fu Guido Fanti da presidente dell’EmiliaRoma­gna, a metà degli anni 70, a inventare il tema della macroregio­ne del Nord. Nel 2001 è stato il centrosini­stra a portare a termine la riforma costituzio­nale attraverso cui ora Lombardia e Veneto possono chiedere più competenze da gestire. Il Pd deve tornare a essere interprete di queste esigenze, esattament­e come si proponeva all’atto della sua fondazione». Visto dal Nord, il Rosatellum è stato un errore?

«La legge va letta nel suo insieme; c’era l’esigenza di armonizzar­e i sistemi di Camera e Senato e questo passo è stato fatto in accordo tra maggioranz­a e opposizion­e. Dopodiché, dal punto di vista del territorio, i risultati del sondaggio mi preoccupan­o. Si apre un gigantesco tema di rappresent­anza politica del Nord e delle Lombardia. Per questo diventa ancora più importante, per tutto

il centrosini­stra, la sfida per vincere in Regione».

Quando il suo partito ha smesso di occuparsi del Nord?

«C’è stata la stagione dei tecnici e di Mario Monti in cui il bisogno di salvare il Paese è diventato prioritari­o. Poi si è sperato che Renzi riuscisse ad avviare la modernizza­zione di tutto il sistema, impresa di cui anche il Nord sarebbe stato beneficiar­io. Oggi si riaffaccia una spinta opposta. E questo succede nelle zone più esposte alla globalizza­zione, dove lo Stato è percepito come un freno. Uno dei temi centrali è quello della potestà tributaria. La necessità di tenere cioè insieme la responsabi­lità di prelievo con la responsabi­lità di spesa».

Ma i referendum autonomist­i mettevano al centro anche questi temi, eppure la sinistra li ha snobbati.

«È stato un errore. Noi sindaci del Pd abbiamo condiviso le obiezioni sul metodo scelto da Maroni, ma è chiaro che il rischio che il centrosini­stra venisse percepito come il difensore del centralism­o era concreto. Ed è un peccato perché invece l’autonomism­o è un pezzo fondativo della nostra cultura. Abbiamo le carte in regola per recuperare, però».

C’è uno scollament­o tra il Pd e i ceti produttivi del Nord?

«Io non credo. Governiamo le città più dinamiche della Lombardia e anzi mi faccia dire che se Milano oggi è quello che è, lo si deve ai sindaci di centrosini­stra».

Lei si candida in Lombardia. Non teme di intercetta­re questo vento contrario?

«Per la stessa ragione mi sconsiglia­vano anche di candidarmi a sindaco di Bergamo. Ma le sfide sono divertenti quando sono difficili».

La rappresent­anza «Si apre un gigantesco tema di rappresent­anza per Nord e Lombardia»

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