Corriere della Sera

Lo strano debutto delle due Catalogne Puigdemont: ora resistenza pacifica

Destituito il capo dei Mossos. Barcellona: voto «parallelo» a quello convocato da Madrid

- Andrea Nicastro

Carles e Marcela Il «President» catalano destituito, Carles Puigdemont, passeggia a Girona con la moglie Marcela Topor: malgrado l’attivazion­e dell’articolo 155 da parte di Madrid, Puigdemont appare ottimista DAL NOSTRO INVIATO

Come si conviene al presidente di una Repubblica clandestin­a o forse bisognereb­be dire invasa o magari virtuale, Carles Puigdemont ha convocato la stampa nel palazzo della Generalita­t per poi mostrarsi solo in un messaggio video. Come sfondo aveva una scalinata, forse di Girona, la sua città, e due bandiere: la catalana e l’europea.

Secondo gli ordini di Madrid, Puigdemont ha smesso da venerdì di essere il presidente della Comunidad autonoma, l’equivalent­e di una nostra Regione, ma secondo il mandato del Parlament catalano è, sempre da venerdì, il primo presidente della nuova Repubblica secessioni­sta. Le due Catalogne che vivono una accanto all’altra.

«La destituzio­ne del mio governo e del Parlament catalano sono atti illegali — ha attaccato Puigdemont —, in aperto contrasto con il volere espresso nelle urne e le regole democratic­he.

Il modo migliore per difendere i risultati raggiunti fino ad oggi è restare nel sentiero che ci ha portato sin qui: senza violenza, senza insulti, da Paese maturo». «Vogliamo rispettare il mandato democratic­o» ricevuto dal referendum indipenden­tista e dal voto del Parlament, «ma allo stesso tempo cercare la massima tranquilli­tà e stabilità».

Puigdemont conferma così il discorso dello scalone del Parlament, quando a Repubblica appena proclamata, ha parlato di «pace, senso civico e dignità».

Un sentiero civile quanto difficile che rischia di lasciare presto senza strumenti il governo della Catalogna repubblica­na parallelo a quello diretto da Madrid.

A capo della Catalogna spagnola, intanto, è stata nominata la vicepremie­r in persona, Soraya Sáenz de Santamaría. Ciascun «assessorat­o» è ora sotto il controllo dei ministeri corrispond­enti, nella persona di un sottosegre­tario che però non dovrebbe neppure mettere piede a Barcellona.

Sembra prevalere il modello, anticipato lunedì dal Corriere, di un «commissari­amento a freddo» della regione ribelle. Ieri, su ordine via fax e telefono del sottosegre­tario all’Interno di Madrid, la polizia catalana ha tolto la scorta agli ex consiglier­i regionali, oggi ministri repubblica­ni.

Il secondo provvedime­nto andato a segno senza ostacoli è stata la rimozione di Josep Lluís Trapero, comandante dei

A Barcellona, magari, non si farà nemmeno vedere, nelle sette settimane e mezzo che mancano all’appello alle urne. Muoverà i fili del potere dalla sede del governo centrale, ma farà di tutto perché il presidente destituito della Generalita­t, Carles Puigdemont, senta il suo fiato sul collo: «Non avrà stipendio, non avrà potere di firma, non avrà funzioni», ha annunciato la reggente della Catalogna attraverso la radio Onda Cero. Se Puigdemont si è dimostrato un campione della raffinatez­za semantica, annunciand­o l’indipenden­za senza dichiararl­a, Mossos d’Esquadra, degradato a semplice commissari­o. Trapero ha preferito le dimissioni, salutando i suoi ex 17 mila agenti chiedendo loro «lealtà e comprensio­ne». A sostituirl­o sarà il suo vice, Ferran López.

Queste prime mosse sembrano confermare la volontà da parte di Madrid di applicare un controllo quasi rispettoso delle gerarchie catalane, in modo da non surriscald­are ulteriorme­nte l’ambiente. Non c’è nessuna garanzia, però, che si arrivi senza altri colpi di scena alle elezioni anticipate fissate da Madrid per il 21 dicembre. Alcuni partiti della Repubblica ribelle stanno valutando la possibilit­à di organizzar­e un voto parallelo a quello madrileno, un voto repubblica­no.

In un discorso che pare un riferiment­o alla situazione catalana, il Papa ha ricordato che «in Europa non è tempo di costruire trincee» e di «arroccarsi».

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La vicepremie­r Soraya Sáenz de Santamaría, alias «la vice presidenta» del governo, 46 anni

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