Lo strano debutto delle due Catalogne Puigdemont: ora resistenza pacifica
Destituito il capo dei Mossos. Barcellona: voto «parallelo» a quello convocato da Madrid
Carles e Marcela Il «President» catalano destituito, Carles Puigdemont, passeggia a Girona con la moglie Marcela Topor: malgrado l’attivazione dell’articolo 155 da parte di Madrid, Puigdemont appare ottimista DAL NOSTRO INVIATO
Come si conviene al presidente di una Repubblica clandestina o forse bisognerebbe dire invasa o magari virtuale, Carles Puigdemont ha convocato la stampa nel palazzo della Generalitat per poi mostrarsi solo in un messaggio video. Come sfondo aveva una scalinata, forse di Girona, la sua città, e due bandiere: la catalana e l’europea.
Secondo gli ordini di Madrid, Puigdemont ha smesso da venerdì di essere il presidente della Comunidad autonoma, l’equivalente di una nostra Regione, ma secondo il mandato del Parlament catalano è, sempre da venerdì, il primo presidente della nuova Repubblica secessionista. Le due Catalogne che vivono una accanto all’altra.
«La destituzione del mio governo e del Parlament catalano sono atti illegali — ha attaccato Puigdemont —, in aperto contrasto con il volere espresso nelle urne e le regole democratiche.
Il modo migliore per difendere i risultati raggiunti fino ad oggi è restare nel sentiero che ci ha portato sin qui: senza violenza, senza insulti, da Paese maturo». «Vogliamo rispettare il mandato democratico» ricevuto dal referendum indipendentista e dal voto del Parlament, «ma allo stesso tempo cercare la massima tranquillità e stabilità».
Puigdemont conferma così il discorso dello scalone del Parlament, quando a Repubblica appena proclamata, ha parlato di «pace, senso civico e dignità».
Un sentiero civile quanto difficile che rischia di lasciare presto senza strumenti il governo della Catalogna repubblicana parallelo a quello diretto da Madrid.
A capo della Catalogna spagnola, intanto, è stata nominata la vicepremier in persona, Soraya Sáenz de Santamaría. Ciascun «assessorato» è ora sotto il controllo dei ministeri corrispondenti, nella persona di un sottosegretario che però non dovrebbe neppure mettere piede a Barcellona.
Sembra prevalere il modello, anticipato lunedì dal Corriere, di un «commissariamento a freddo» della regione ribelle. Ieri, su ordine via fax e telefono del sottosegretario all’Interno di Madrid, la polizia catalana ha tolto la scorta agli ex consiglieri regionali, oggi ministri repubblicani.
Il secondo provvedimento andato a segno senza ostacoli è stata la rimozione di Josep Lluís Trapero, comandante dei
A Barcellona, magari, non si farà nemmeno vedere, nelle sette settimane e mezzo che mancano all’appello alle urne. Muoverà i fili del potere dalla sede del governo centrale, ma farà di tutto perché il presidente destituito della Generalitat, Carles Puigdemont, senta il suo fiato sul collo: «Non avrà stipendio, non avrà potere di firma, non avrà funzioni», ha annunciato la reggente della Catalogna attraverso la radio Onda Cero. Se Puigdemont si è dimostrato un campione della raffinatezza semantica, annunciando l’indipendenza senza dichiararla, Mossos d’Esquadra, degradato a semplice commissario. Trapero ha preferito le dimissioni, salutando i suoi ex 17 mila agenti chiedendo loro «lealtà e comprensione». A sostituirlo sarà il suo vice, Ferran López.
Queste prime mosse sembrano confermare la volontà da parte di Madrid di applicare un controllo quasi rispettoso delle gerarchie catalane, in modo da non surriscaldare ulteriormente l’ambiente. Non c’è nessuna garanzia, però, che si arrivi senza altri colpi di scena alle elezioni anticipate fissate da Madrid per il 21 dicembre. Alcuni partiti della Repubblica ribelle stanno valutando la possibilità di organizzare un voto parallelo a quello madrileno, un voto repubblicano.
In un discorso che pare un riferimento alla situazione catalana, il Papa ha ricordato che «in Europa non è tempo di costruire trincee» e di «arroccarsi».