Evasione da film nel carcere di Favignana
Tre detenuti segano le sbarre della cella e poi si calano con le lenzuola. «Via dall’isola grazie a complici»
Dentro ci sono i corridoi, le sezioni, le chiavi che girano e l’ordinaria battitura del ferro sulle sbarre, per segnalare che tutto è sotto controllo. È da poco passata la mezzanotte. Un agente penitenziario batte l’ultima. A quell’ora i detenuti del carcere di Favignana, isola delle Egadi, sarebbero dovuti essere in branda. In una cella invece tre di loro sono in azione: prendono un filo d’acciaio che deve esser passato facilmente al metal detector, legano e imbavagliano un quarto detenuto nella stanza e cominciano a segare le sbarre. Quando il lavoro è finito escono dalla finestra senza più sbarre, salgono pochi metri, raggiungono il tetto e attraverso un varco guadagnano il muro di cinta, alto circa otto metri. Con le lenzuola ben annodate si calano nella notte. A cento metri c’è la spiaggia. Probabilmente qualcuno li aspetta, per traghettarli verso le vicine coste del Trapanese (sette miglia). Alle tre e mezza di notte, quando viene dato l’allarme e scattano le ricerche dei militari, dei tre evasi non c’è più traccia.
Tra i fuggiaschi c’è anche un ergastolano, Adriano Avolese, condannato per omicidio, originario di Pachino, nel Siracusano. Gli altri due sono di Vittoria, Giuseppe Scardino e Massimo Mangione che avrebbero dovuto finire di scontare la pena nel 2032 e nel 2037. Erano stati trasferiti a Favignana da qualche mese dopo aver tentato di fuggire dall’istituto di pena di Siracusa. Nonostante il trasferimento «punitivo», i detenuti erano stati messi nella stessa cella.
Ieri i sindacati di polizia penitenziaria, come Sappe e UilPa, hanno denunciato «l’ennesimo scandalo evasione» e puntato il dito sulle condizioni di lavoro degli agenti e sul sovraffollamento: «Sono state smantellate le politiche di sicurezza». Ma il carcere di Favignana è diventato operativo sei anni fa ed è considerato tra i più moderni d’Italia. Gli agenti sono circa una sessantina e sorvegliano 46 detenuti alloggiati in 15 celle, tutti sistemati al secondo piano perché il primo non è in funzione da quando il direttore generale del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), Roberto Piscitello, ha chiuso la Casa di Lavoro. A regime la capienza sarebbe di 108 persone.
Negli anni settanta il vecchio carcere costruito attorno al castello di San Giacomo ha ospitato brigatisti e criminali come Renato Vallanzasca. La nuova struttura, trasferita a poche centinaia di metri, ha un sofisticato sistema di videosorveglianza (l’ultima verifica è stata fatta lunedì), che dispone, o dovrebbe disporre, anche di laser e sensori che ad ogni attraversamento di corpi fa scattare l’allarme. Tutti elementi che fanno pensare che qualcosa non ha funzionato: se ci sono, gli impianti quella sera erano fuori uso. Tanto che sull’evasione non c’è nessun filmato.
Sulla vicenda dovrà fare luce la procura di Trapani che ha aperto un’indagine. Da ieri intanto è caccia ai fuggitivi. Controlli sono stati effettuati all’imbarcadero di aliscafi e traghetti sulla piccola isola delle Egadi. Posti di blocco sono stati effettuati in tutta la provincia di Trapani da polizia e carabinieri. Si stanno analizzando i video disponibili per tentare di ricostruire il percorso fatto dagli evasi. E il probabile supporto ricevuto da basisti e complici.