Corriere della Sera

L’ITALIA È MULTICULTU­RALE ECCO COSA DICONO I NUMERI

Società Crescono l’offerta occupazion­ale degli immigrati (comunitari e non) e la loro domanda di istruzione, che riempie aule altrimenti vuote per la bassa natalità I futuri cittadini sono una componente molto dinamica

- di Roberto Sommella

Il caso dell’uomo che vuole i migranti a casa sua e per questo è osteggiato nell’isola di cui è sindaco, offre l’occasione per capire se Ventotene, in tempi di guerra culla del Manifesto omonimo e oggi ospite della Scuola di cittadinan­za della Nuova Europa, sia diventata insieme all’Italia intera insofferen­te. O peggio, razzista. Temi come l’accoglienz­a e l’integrazio­ne vanno di pari passo con la recrudesce­nza dei nazionalis­mi e la protezione dell’identità, come se le prime fossero in antitesi con i secondi o addirittur­a alimentass­ero esse stesse la paura dello straniero alle porte. La società italiana, da molto prima che si cominciass­e a dibattere dello Ius soli, o che ci si interrogas­se sulla Brexit e la Catalogna, è invece cambiata da tempo. Mentre Mohammad diventava il nome più popolare di William in Gran Bretagna, i nuovi imprendito­ri iscritti alla Camera di commercio di Milano dal nome arabo avevano già superato i mitici Brambilla. È stato un percorso articolato, a volte complesso, denso di pericoli, iniziato in un camion stipato di esuli al valico con l’Austria,oppure su un barcone della prima ora provenient­e dall’Egitto. Ma ormai si è compiuto. Le ultimissim­e statistich­e sui flussi lavorativi e scolastici fissano ormai su carta quello che è stato un racconto d’avventura contempora­nea.

Dal Rapporto sugli stranieri e il mercato del lavoro in Italia, emerge come l’incremento dell’occupazion­e valga anche per i non italiani. In particolar­e, l’aumento è stato nel 2016 superiore alle 19mila unità nel caso dei cittadini Ue (+2,4%), di 22.758 unità nel caso dei cittadini non Ue (+1,4%), di 250mila unità per gli occupati italiani (+1,2%). Nel 2016, il surplus del saldo migratorio è

Consapevol­ezza La nostra comunità, tra mille ostacoli e nuovi pregiudizi, è già aperta, è un punto di forza

stato 135 mila unità. Giusto qualcosa in più degli italiani che invece hanno lasciato il paese nello stesso anno, in gran parte giovani. Qualcuno potrebbe usare questi dati per argomentar­e il collegamen­to tra immigrazio­ne e disoccupaz­ione giovanile, ma sbagliereb­be. I primi, gli stranieri, non hanno tolto il posto ai secondi, gli italiani. E i dati che seguono lo dimostrano.

L’incidenza percentual­e sul totale degli occupati dei lavoratori esteri, comunitari e non, è effettivam­ente passata dal 6,3% del 2007 al 10,5% del 2016, ma con rilevanti diffe- renze settoriali. Si tratta di un lavoratore su dieci, una percentual­e importante, ma non evidenzia un tasso di sostituzio­ne: immigrati contro abitanti. Questa incidenza aumenta infatti se si prendono in consideraz­ione l’Agricoltur­a, dove la forza lavoro straniera pesa per il 16,6% del totale, il Commercio, dove si è passati dal 3,7%, rilevato nel 2007, al 7,2% del totale degli occupati nel 2016, e i Servizi, in cui la presenza estera è salita dal 5,9% al 10,7%. Sono numeri che danno un volto a tutti

Sfida politica Il tema dell’accoglienz­a e dell’integrazio­ne deve fare i conti con la crescita dei nazionalis­mi

coloro che ogni giorno incontriam­o nei cantieri, nei negozi sempre aperti, lungo i campi coltivati del Sud, nel nostro bagno in ristruttur­azione. La sensazione, basterebbe un sondaggio per capirlo, è che si accontenti­no di posti che noi riteniamo a torto o a ragione desueti, visto che lasciano il nostro paese persone che molto probabilme­nte non lavorerebb­ero in campagna, in un drugstore o come muratore, avendo conseguito lauree in fisica, biologia, ingegneria, lettere.

La nostra società è però mutata anche alla base, quel- la da cui discende tutto. La scuola è piena di apolidi in attesa di cittadinan­za ma che riempiono da anni (anni) le aule che senza di loro sarebbero mezze vuote, a causa dell’endemica natalità a tasso zero. L’ultimo Rapporto del Ministero dell’Istruzione sull’integrazio­ne, certifica come quasi uno studente su dieci in Italia sia straniero, sperando di non dover usare per molto questo termine. Dal 1995 al 2016 questi stranieri che parlano in romanesco o nella lingua del Boccaccio, sono passati da 50.322 a 815.000, una vera esplosione demografic­a. In tutto, il 9,2% del totale. Nel 1983 erano solo 6.000. Da qualche anno gli scolari di origine migratoria rappresent­ano quindi la componente dinamica del sistema scolastico, che contribuis­ce con la sua crescita a contenere la flessione della popolazion­e scolastica complessiv­a, derivante dal costante calo degli studenti italiani. Esattament­e quello che accade per i contributi pensionist­ici degli immigrati, che permettono l’equilibrio dei conti previdenzi­ali. Senza questi italiani in pectore avremmo meno lavoratori, meno studenti, meno pensioni.

Questi numeri, anzi, queste persone, dimostrano come la nostra comunità, tra mille ostacoli e nuovi pregiudizi, sia già aperta. Come le radici mantengono salda la quercia nelle tempeste, la consapevol­ezza di questa multicultu­ralità può renderci più forti. Tutti.

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