Corriere della Sera

Mediobanca, cantiere governance «Generali, cedibile più del 3%»

Per la prima volta la presenza dei fondi in assemblea supera il patto

- Stefano Righi

L’evoluzione accelera. Il quinto trimestre del piano industrial­e di Mediobanca ha registrato una dinamica dei risultati in anticipo rispetto alle attese. Anche il percorso di revisione della governance, approvato ieri dalla assemblea degli azionisti, tratteggia una banca che tende sempre più rapidament­e verso un nuovo modello di governo societario. Non solo per la riduzione a 15 dei componenti del consiglio di amministra­zione, o per la maggiore rappresent­atività concessa alle minoranze. La disdetta, lo scorso 22 settembre, dell’adesione al patto di sindacato che regge la banca da parte dei gruppi Pirelli (1,79%) e Zannoni (0,25), porterà dal prossimo primo gennaio la quota percentual­e di capitale sindacata al 28,65 dall’attuale 30,69 con effetti prospettic­i significat­ivi.

Anche il patto di Mediobanca cede infatti al fascino dell’accelerazi­one. Il rinnovo, rispetto al canonico triennio, si limiterà a fine 2019, ma con una finestra d’uscita che permetterà ai soci di esercitare l’opzione già nel prossimo settembre. A quel punto basterà che pochi pattisti siano propensi all’uscita (Mediolanum e Fininvest assieme controllan­o poco meno del 4,3% del capitale) per far venire meno il quorum minimo del 25% sul totale delle azioni, necessario alla sussistenz­a del patto.

Ma senza andare troppo lontano, quella di ieri è già stata un’assemblea storica: i fondi hanno rappresent­ato il 29,6% del capitale, per la prima volta superando le azioni in portafoche

Alberto Nagel, 52 anni, amministra­tore delegato di Mediobanca glio al nuovo patto di sindacato.

L’amministra­tore delegato Alberto Nagel ha posto l’accento sulla solidità patrimonia­le dell’istituto e sulle eccellenti performanc­e dell’ultimo esercizio, nel corso del quale Mediobanca ha allargato il proprio perimetro acquisendo il restante 50 per cento di Banca Esperia e le attività italiane dell’inglese Barclays. Due operazioni che hanno portato in cassa complessiv­amente 99 milioni, perché ai 141 milioni pagati per Esperia si sommano i 240 milioni che Barclays ha pagato per cedere le proprie attività. «Pensavamo di aver fatto bene con Barclays – ha chiosato il presidente Renato Pagliaro – ma poi Intesa con le due venete ha fatto meglio».

Nella logica evolutiva che domina questo momento, Mediobanca sta guardando con attenzione anche alla quota nelle Assicurazi­oni Generali. Sul tavolo c’è un 3% del capitale del Leone dovrebbe essere dismesso entro fine 2019. «Potremo cedere il 3% o anche una quota superiore – ha detto Nagel – perché vogliamo investire in attività che possiamo governare direttamen­te: guardiamo a possibili acquisizio­ni, ad accompagna­re il boom di Compass», o anche la business degli Npl. A frenare la vendita sono, per ora, i prezzi di Borsa. La prima tranche di azioni, ceduta nel 2015-16, registrò un pezzo medio di 17,7 euro. Venerdì 27 il Leone ha chiuso in Borsa a 15,65.

Finale dedicato alla battaglia Vivendi-Mediaset: «Siamo vicini ad entrambe – ha detto Nagel -. La mia opinione è che operazioni non concordate risultano più costose e sono destinate ad aver minor successo. Auspico quindi che si trovi un accordo». Anche questa sarebbe una evoluzione.

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