Corriere della Sera

Scala, l’affetto per l’opera che portò Verdi al trionfo

- Di Enrico Girardi

La ripresa dell’edizione 2013 di Nabucco alla Scala è uno spettacolo che richiama tanto pubblico e scatena applausi in ragione dell’amore per il titolo che segnò il primo trionfo di Verdi, proprio alla Scala, e per l’affetto nei confronti di Nello Santi che lo dirige e di Leo Nucci che lo canta. È un affetto dovuto, per quanto questi due anziani interpreti hanno dato a Verdi e al melodramma italiano. E che passa sopra alle oggettive difficoltà, a tratti, che questa ripresa mette in luce. L’esperienza di Santi di questo repertorio, di cui resta traccia in certi fraseggi e nel modo magistrale di condurre gli accompagna­menti, non limita del tutto, ormai, certe impasse — anche nel popolare Va’, pensiero — mentre Nucci resta un fenomeno nell’amministra­re le residue risorse vocali ma affidandos­i sempre più a una specie di sprechgesa­ng (un misto di cantato e parlato) che non si perdonereb­be ad alcun altro baritono. Né è accettabil­e la prova più urlata che cantata di Martina Serafin (Abigaille), fischiata da qualche loggionist­a. A rivederlo quattro anni dopo, sembra ancora più bello, invece, l’allestimen­to di Daniele Abbado, che ambienta l’azione al tempo della shoah, accumunand­o ebrei e babilonesi in un destino di disgrazie, entro un quadro scenografi­co che sembra citare il cimitero di Praga e il memoriale dell’olocausto di Berlino.

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In scena Un momento dell’opera «Nabucco» alla Scala

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