«Io, un medico nell’emergenza»
Gentiloni: il referendum ha dato a Renzi un profilo divisivo che sarà riparato
«Non ho vinto le elezioni e non sono un leader di partito. Sono un medico chiamato a operare in una situazione di emergenza». Così il premier Paolo Gentiloni «quando gli ho chiesto un incontro per il libro». «Il referendum ha dato a Renzi un profilo divisivo che sarà riparato».
Esce oggi il nuovo libro di Bruno Vespa «Soli al comando. Da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi, da Hitler a Grillo. Storia, amori, errori» (edito da MondadoriRai Eri). Pubblichiamo alcuni brani del capitolo dedicato al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
Quando ho chiesto a Paolo Gentiloni un incontro per questo libro, ho evitato di comunicargliene il titolo. Avevo paura che Soli al comando lo spaventasse.
Se avesse prestato servizio in marina, il presidente del Consiglio avrebbe certamente scelto i sommergibili. Si sarebbe mosso con il radar (ne possiede di efficientissimi), ma avrebbe evitato di alzare il periscopio per non farsi notare nemmeno da qualche barchino di passaggio.
Adesso siamo nel suo studio di palazzo Chigi, seduti a un tavolo di riunioni che porta i segni di tazze di caffè gocciolanti e di bicchieri indisciplinati degli ultimi due governi. E quando gli domando secco se lui comanda, mi guarda un po’ perplesso: «La sensazione che si ha in questo palazzo è che la Costituzione materiale dello Stato abbia creato un sistema in cui il ruolo del presidente del Consiglio è ovviamente indispensabile, ha molta influenza sull’orientamento del governo, adotta decisioni, firma provvedimenti, ma…».
Ma? «Ma non siamo né a Downing Street, né all’Eliseo e nemmeno alla Cancelleria di Berlino...» Non sarebbe meglio se avessimo un sistema come il loro? « Standoci dentro, mi sento abbastanza adatto a un modo di guidare le cose che rende necessario il gioco di squadra». (...)
Leggo a Gentiloni la sequela di definizioni che ne hanno dato i giornali nel primo anno a palazzo Chigi: Paolo il calmo, il freddo, il mesto (come Paolo VI), Eroe per caso, L’uomo che scansandosi avanza. Se Renzi era Mao, lui è Chou En-lai, il diplomatico sottile che cuce dove l’altro strappa. E, restando nel mondo pontificio, si è detto, Renzi sarebbe papa Francesco e lui Pio XII. Sbagliato. Pacelli era davvero un uomo solo al comando. Più corretto il paragone con Montini: fragile e sofferente in apparenza, barra dritta all’interno. In quale definizione si riconosce Gentiloni? «Queste definizioni derivano dal fatto — casuale ed eccezionale — che io sia arrivato qui. Non ho vinto le elezioni e non sono leader di partito. Sono un medico chiamato a operare in una situazione di emergenza. Sono realmente calmo, spero di non essere mesto…»
Il presidente del Consiglio è stato benedetto da Comunione e Liberazione, che non vuole più «uomini soli al comando». «Bah, immagino fosse solo una battuta polemica nei confronti di Renzi. È difficile costruire una teoria generale sulla differenza tra atteggiamento decisionista e collaborativo. Il paese avrebbe bisogno di shock innovativi. E con la leadership di Renzi, ne ha avuti di positivi. Ma è anche un paese che agli shock innovativi, che sono indispensabili, reagisce in maniera problematica. Da noi, esercitare la leadership dipende anche dalle circostanze politiche.» (...)
A Gentiloni è piaciuto il termine «impopulista». «È vero. Bisogna avere il coraggio — anche a costo di scelte impopolari — di non seguire la deriva che per comodità chiamiamo populista, antieuropea. La Merkel, per esempio, ha fatto una scelta impopulista decidendo nel 2015 di accogliere centinaia di migliaia di immigrati.» Con lei avanza il partito impersonale, gli dico. «Ne sono meno convinto. La politica affidata alle leadership è ormai consolidata da decenni nel mondo. Anche la velocità di comunicazione ci imporrà di non tornare indietro verso i meccanismi di decisione del secolo scorso.»
Nell’autunno del 2017 il governo ha fatto una manovra di buon senso. Pochi soldi a disposizione, niente aumento dell’Iva, un po’ di risorse per statali, giovani, Sud. Faccio notare al presidente del Consiglio che molti (anche Renzi) vorrebbero una politica finanziaria più aggressiva, magari sfondando il tetto del 3 per cento tra deficit e Pil per favorire gli investimenti. «L’Italia è rientrata da tempo dalla procedura europea di infrazione. Faremmo un errore a tornarci sfondando il tetto del 3 per cento, e del resto non è questa la proposta del Pd. La velocità verso il pareggio strutturale di bilancio è tuttavia sempre oggetto di negoziato». (...)
Ma ha senso correre verso il pareggio di bilancio in una situazione che richiede investimenti? «Il mio obiettivo è chiudere in modo ordinato la legislatura e consegnare al governo che uscirà dalle elezioni del 2018 un contesto economico senza una camicia di forza e con diverse opzioni possibili.» (...) «Se si decide di spendere di più, bisogna spiegarlo ai mercati, e non è facile. Ma certamente un governo che ha davanti a sé una prospettiva stabile di alcuni anni e non deve muoversi su una pista da bob, può scegliere strade più “audaci”, tra virgolette...» (...)
Non teme che l’approvazione dello «ius soli» nella formulazione attuale e la concessione della cittadinanza a 800.000 persone — pure eticamente ineccepibile — possano creare allarme? «Dobbiamo liberare questo tema dalle strumentalizzazioni. Non possiamo lasciar passare l’idea che arriveranno tanti barconi se riconosciamo il diritto di cittadinanza ai bambini che vanno a scuola o giocano a calcetto o a basket con i nostri figli e nipoti. A chi ha dubbi, segnalo che nei prossimi vent’anni noi avremo bisogno di includere le comunità straniere che decidono di abitare qui. Seminando esclusione, raccoglieremo odio. Non dobbiamo ripetere l’esperienza vista in troppi quartieri di troppe metropoli europee in cui la radicalizzazione estremista è molto più diffusa che da noi. Includere è un buon investimento per il nostro futuro.»
Quando il colloquio plana sulla politica interna, Gentiloni se ne allontana con garbo. Buon giocatore di tennis, è un campione del rovescio smorzato. E si vede. So bene che non avrebbe voluto mettere la fiducia nel voto sulla legge elettorale: la fiducia è uno strappo e lui è uomo di rammendo, un orlo lampo costituzionale. Così nella risposta si muove come un drone d’altura. (...) «Avevamo un vuoto da colmare. Tutti correranno per vincere. Il problema si porrà dopo le elezioni. Speriamo bene...»
Si dice che se il centrosinistra avesse la maggioranza, Gentiloni potrebbe restare a palazzo Chigi per un governo di larghe intese con Berlusconi. Al quale l’uomo sta simpatico, nonostante da ministro delle Comunicazioni fosse un suo gran nemico. «Ho il massimo rispetto per Berlusconi, ma il centrosinistra deve vincere le
Il populismo Impopulista? È vero, bisogna avere il coraggio di non seguire la deriva che chiamiamo populista
elezioni.» Sorride, e non aggiunge sillaba.
E la fronda anti-Renzi nel Pd? La Gioconda non avrebbe risposto meglio.
Mentre ci salutiamo gli chiedo: che impressione le fa essere più popolare di Renzi? «Penso che la sconfitta nel referendum abbia dato al profilo di Renzi un carattere divisivo che gradualmente sarà riparato.» E lei, Gentiloni? «Io mi sono ritagliato un ruolo rassicurante, e un profilo rassicurante è sempre meno divisivo. Questo non vuol dire che abbia più amici e meno nemici di Matteo…»
Però la sfiducia al governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco li ha divisi davvero, forse per la prima volta. Abbiamo già visto le dure reazioni di Renzi. E non a caso, il 27 ottobre 2017, quattro eminenti esponenti renziani del governo (i ministri Delrio, Martina, Lotti e il sottosegretario alla Presidenza Boschi) hanno disertato, con un gesto forte, la seduta del Consiglio dei ministri che ha sottoposto al presidente della Repubblica la conferma di Visco, formalizzata lo stesso giorno. Da allora il governo Gentiloni da governo «del» Pd, come era stato definito, è diventato un governo «amico» del Pd. Nel suo sommergibile, Paolo Gentiloni si è inchiodato al periscopio.