Le liti, le botte e quell’ossessione per la villa
Massa, il medico che ha ucciso il fratello per i dissapori sul recupero dell’edificio storico di famiglia Le prime parole dopo averlo travolto due volte con un furgone: «Ma adesso Piero come sta?»
«Avvocato, come sta mio fratello è ancora vivo?». Quando Marco Casonato, 63 anni, medico psichiatra, docente di psicologia all’università Bicocca di Milano e professore in alcuni atenei tedeschi e americani, ha incontrato Walter Mattarocci, il suo legale che aveva appena chiamato al cellulare («Vieni, ho fatto un guaio»), sembrava quasi una delle statue della sua villa. «Era sotto choc, inebetito — racconta il legale — e non aveva coscienza della sorte del fratello. Gli ho chiesto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Parlerà quando sarà in grado farlo».
Dunque nessuna confessione, come confermano anche fonti della Procura. Anche se resta ineluttabile che sia stato proprio Marco a spingere sino in fondo l’acceleratore di quel furgone, investire il fratello Pietro, 59 anni, anche lui medico, con il quale aveva dissidi da sempre, passare sopra il suo corpo almeno un paio di volte e poi fuggire per farsi arrestare poco dopo. Ora gli investigatori, coordinati dal procuratore di Massa Aldo Giubilaro, cercano di scavare negli ultimi giorni del presunto omicida.
Marco Casonato non era tranquillo. Denunciava continue incursioni nel parco e in alcuni locali della villa, inquietanti e oscuri episodi. Un televisore preso a picconate, tagli di olivi, persino un «pazzo alla guida» che aveva tentato di investire lui e la compagna. E all’amico, il capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale Stefano Benedetti, aveva mandato non meno di un’ottantina di messaggi via smartphone, con tanto di foto dei danneggiamenti. «L’ultimo alle 15 di mercoledì, un’ora e mezzo prima Vittima Il corpo di Piero Alessandro Casonato coperto da un telo accanto al Fiorino del fratello della tragedia — conferma Benedetti — ma non avvertiva solo me. Aveva inviato molte segnalazioni alla magistratura e su questo credo che l’onorevole Lucio Barani presenterà un’interpellanza per capire se quello che è successo poteva essere evitato». A irritarlo, lui che era stato nominato dal tribunale il curatore della sua villa, la presenza di alcuni operai sinti inviati dal fratello Piero e l’idea, diventata ossessione, che Villa Massoni, nei secoli depredata di tesori e arredi, fosse al centro di furti, come quello delle statue storiche. Aveva chiamato alcuni conoscenti, appartenenti a Forza nuova, che erano andati a fare un sopralluogo. Piero Casonati lo aveva saputo ed era piombato nel parco con la sua jeep rischiando di investire uno dei giovani di estrema destra. Due settimane dopo sarebbe stato lui a morire sotto un furgone guidato dal fratello.
Una decina di anni fa i fratelli si erano picchiati a sangue, davanti alla villa, che ognuno considerava come qualcosa di irrinunciabile, una bellezza deturpata dall’incuria (per questo era scattata una denuncia contro di loro e il sequestro da parte del pm) ma da salvaguardare a ogni costo, come un amore infinito. Una ventina di anni fa avevano rifiutato 10 miliardi di lire e poi declinato l’offerta di un gruppo arabo che avrebbe voluto trasformare Villa Massoni in un centro benessere. Uniti nel non vendere, divisi da tutto. Anche dal carattere. Più posato e riflessivo Marco, impulsivo a volte sino alla paranoia Piero. Che, oltre che con la giustizia per una storia di armi e un’inchiesta sul rilascio di patenti, aveva problemi di depressione e in passato era finito in un ospedale psichiatrico.