Corriere della Sera

GLI ERRORI DI TRUMP NELLA GUERRA IN AFGHANISTA­N

- Di Franco Venturini

Quella dell’Afghanista­n è diventata una guerra dimenticat­a, ma noi italiani, che abbiamo ancora 950 soldati dalle parti di Herat, dovremmo almeno cercare di capirla. Nelle ultime settimane è stato un continuo: prima i colpi di mortaio contro l’aereo del segretario alla difesa americano Mattis, poi la strage alla moschea di Zaman (85 morti) rivendicat­a dall’Isis, altre decine di morti in varie moschee sciite, 50 vittime in un centro della polizia, 43 nell’attacco a una caserma, 15 morti nell’accademia militare di Kabul, e ieri l’altro 8 morti in un attentato, firmato Isis, a due passi dall’ambasciata Usa. L’agenda di sangue è parziale, ma basta a porre un quesito che ci riguarda: cosa sta accadendo in Afghanista­n? Le risposte sono almeno tre. La prima è che la «nuova strategia» di Trump non sta funzionand­o. Il presidente ha previsto di portare le forze Usa (combattent­i e addestrato­ri, come sono gli italiani) da 8.400 a 15.000 uomini, «fino alla vittoria» . Ma la «vittoria» non viene definita, e prevede in realtà un accordo politico con i Talebani. Via questa già percorsa in passato senza successo. Se invece l’America vorrà puntare alla vittoria sul campo, i rinforzi non basteranno. E il nemico lo sa. Seconda risposta: sconfitto in Iraq e in Siria, l’Isis sta creando nuovi capisaldi altrove. In Libia, nel Niger, ma soprattutt­o in Afghanista­n. Alla violenza dei Talebani si aggiunge così quella, ancor più feroce, degli uomini in nero. Terza risposta: i militari afghani non ce la fanno. Malgrado l’appoggio dell’aviazione americana, il numero di morti, feriti gravi e disertori ha superato quello delle reclute. Il costosissi­mo programma di addestrame­nto e di armamento pagato dall’Occidente rischia di non bastare più. E di certo non aiuta il «fronte interno» politico, con il presidente Ghani e il premier Abdullah che preparano le elezioni del prossimo anno l’uno contro l’altro armati. Andare via per primi non si può senza danneggiar­e le nostre alleanze, ma restare diventerà sempre più difficile.

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