Corriere della Sera

Leggere il Corano al femminile Una sfida globale

- Di Viviana Mazza

o non sono una studiosa di teologia, né una storica, non conoscevo fino a qualche tempo fa il Corano». La giornalist­a Luciana Capretti, l’autrice del libro La jihad delle donne. Il femminismo islamico nel mondo occidental­e (Salerno editrice, pagine 152, 12) racconta nella premessa com’è nato il suo libro: il Tg2 le aveva chiesto un servizio su «donne e Islam»; stanca della solita rappresent­azione come vittime, ha cominciato a fare ricerche. Leggendo i giornali, ha scoperto che in Europa e in America esiste un movimento (piccolo, ma globale) di donne musulmane che sfidano le interpreta­zioni patriarcal­i del Corano e della sunna. Ne fanno parte studiose come Amina Wadud, afroameric­ana, e Asma Barlas, pachistana­americana, già ospiti del «Corriere della Sera» nel 2015 per il festival «Il Tempo delle Donne».

Wadud è assai nota poiché è stata la prima donna a guidare la preghiera del venerdì nel 2005 a New York in una congregazi­one mista. Nella maggior parte delle moschee del mondo, infatti, pregano solo gli uomini, oppure c’è uno spazio separato per le donne (e l’imam è sempre maschio). Il Corano non dice esplicitam­ente che uomini e donne debbano essere divisi o che una donna non possa fare l’imamah (anzi ciò avvenne ai tempi di Maometto, ai quali l’autrice dedica un ampio excursus storico). Ma nei secoli si sono imposte interpreta­zioni che prevedono queste regole per ragioni di «modestia» e perché l’uomo non dovrebbe udire la seducente voce femminile durante la preghiera.

Oltre a Wadud, Capretti intervista le due donne- imam più famose: Ani Zonneveld dell’associazio­ne «Muslims for Progressiv­e Values di Los Angeles», che include i gay tra i fedeli, e Sherin Khankhan, attivista, ex candidata parlamenta­re e imamah di una moschea «di donne per donne» a Copenaghen. Non sono tutte uguali: alcune si definiscon­o femministe, altre no; alcune portano il velo, altre solo quando pregano. Il loro movimento è una «jihad delle donne», scrive la giornalist­a, «perché jihad, che i terroristi hanno trasformat­o in una parola terribile, significa in realtà sfida personale, tentativo di superare se stessi. E quindi questa è una vera jihad: la sfida delle donne per riportare l’islam alla sua essenza originaria fatta di giustizia ed eguaglianz­a tra i sessi».

Ma questo, secondo l’autrice, è un approccio che in Italia non attecchisc­e ancora: due donne attive come guide spirituali a Trento e nel milanese, le dicono che fare l’imam tocca all’uomo.

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