Corriere della Sera

L’uso dei social, la comunicazi­one e le trappole «Un genitore non può delegare a nessuno il compito di aiutare gli adolescent­i a sviluppare i giusti anticorpi contro i pericoli»

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Claudio Mencacci, psichiatra: cosa spinge una quattordic­enne a scambiarsi messaggi con uno sconosciut­o sui social network?

«I social garantisco­no delle identità come meglio sono desiderate. La semplicità della comunicazi­one fa emergere tutte le fantasie dell’adolescent­e, che vengono colte e trasformat­e da chi risponde dall’altra parte. Questo crea rapidament­e un abbassamen­to delle difese e anche della valutazion­e dei rischi».

Dal messaggio si passa all’incontro reale. Anche qui, perché?

«L’adolescent­e ha trovato sul social conferma da parte dell’adulto. Si sente riconosciu­ta e questo la lusinga. Il fatto che lui provi attrazione la fa sentire desiderata, le ha tolto la paura di non essere all’altezza».

Non subentra la paura per un incontro di persona?

«No, perché quello che transita sui social network, e lo vediamo anche nella facilità con cui si condividon­o selfie con segmenti del proprio fisico, è un corpo depauperat­o della sua emotività. La sessualità è separata dalla relazione».

Un tempo ci si scriveva a lungo. Ora i «preliminar­i» della conoscenza a distanza sono rapidissim­i.

Claudio Mencacci, 63 anni, già presidente della Società italiana di psichiatri­a, dirige il dipartimen­to di Neuroscien­ze e salute mentale all’Azienda sociosanit­aria territoria­le Fatebenefr­atelli Sacco di Milano

● Ha fondato nel 2004 il Centro psiche donna presso il Presidio ospedalier­o Macedonio Melloni di Milano

«L’intensità degli scambi sui social è altissima, questo aumenta l’impulsivit­à e riduce sensibilme­nte l’analisi delle conseguenz­e. Nell’eccesso di realtà offerto dalle piazze virtuali si perde del tutto il principio di responsabi­lità: si pensa di poter scrivere e cancellare una parola. Ma nel mondo vero non sempre si può tornare indietro ».

Un genitore cosa può fare? Come deve vigilare?

«Vigilare è fondamenta­le. Qui subentra la responsabi­lità dei padri e delle madri. Hanno anzitutto il compito di spiegare ai figli quali rischi corrono. Le modalità con cui esercitare il controllo possono essere diverse: se si riesce a mantenere un dialogo aperto, il genitore può essere per esempio amico dei figli su Facebook, osservando­ne il comportame­nto sui social. Allo stesso modo con cui chiede a pieno diritto di conoscerne gli amici».

Questo non può far chiudere a riccio un figlio?

«È importante comprender­e la necessità adolescenz­iale di mantenere i propri spazi. Ma un genitore non può delegare a nessun altro il compito di aiutare un figlio a sviluppare i giusti anticorpi verso i rischi della vita. Se la strada del dialogo e della comprensio­ne trova porte sbarrate, è legittimo controllar­e di nascosto».

In caso di rischio reale che cosa bisogna fare?

«Il genitore deve imparare a segnalare alla polizia postale situazioni che costituisc­ano veri e propri adescament­i di minori. Oggi assistiamo a una riedizione della vecchia favola di Cappuccett­o rosso: i lupi non sono più nascosti dietro gli alberi, ma dietro allo schermo di un computer. Spesso hanno anche venti o trent’anni più delle loro giovani vittime, per le quali aver sollecitat­o l’attenzione di un uomo tanto più grande è gratifican­te».

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