Corriere della Sera

«Sono socia di tre librerie, felice di aiutarle a vivere»

- Caterina Malavenda

Chi qualche volta mi ha letto sa che sono un avvocato e mi occupo di diritto dell’informazio­ne. Pochi sanno invece che da qualche anno sono la felice socia di minoranza di tre librerie indipenden­ti del Ponente ligure, che vanno bene, vendono il giusto e sono un importante punto di riferiment­o nella comunità in cui operano. L’avventura è cominciata per caso, una richiesta di aiuto, buttata là fra il serio e il faceto dal mio libraio, un vero libraio, quello che lo vedi e pensi che non potrebbe fare altro nella vita. Una risposta data d’istinto, senza riflettere, ed è cominciata la mia vita parallela. Non vendo libri, non ho il tempo né le competenze necessarie per farlo, ma i miei fine settimana sono spesso impegnati a presentare autori più o meno noti, fra loro tanti amici che hanno accettato di venire a trovarci, anche se siamo un mercato di nicchia. Tutto a spese nostre, nessun aiuto pubblico per intenderci, richiamand­o un attento mondo di lettori, spesso numerosi e alcuni affezionat­i che non mancano mai. Una comunità direi, persone che si riconoscon­o e si ritrovano per sentire quel che ha da dire lo scrittore famoso, ma anche lo storico locale, il saggista impegnato, il maestro di musica e che non permettere­bbero mai, dipendesse da loro, che le nostre librerie fossero costrette a chiudere per ragioni economiche. È per questo che mi ha colpito quel che ha scritto Susanna Tamaro sulla chiusura della «Libreria dei Sette» di Orvieto, che segue di poco quella della libreria «Parole ribelli»: che bei nomi hanno le librerie indipenden­ti. E mi ha tanto amareggiat­o sapere che nessuno fa qualcosa per salvarle. Non basta rattristar­si, non serve cercare colpevoli, è controprod­ucente rassegnars­i. Quando abbiamo deciso di comprare la terza libreria e ci siamo guardati in giro alla ricerca di nuovi soci, abbiamo trovato entusiasti­che e impensabil­i adesioni, perché comprare una libreria o aiutarla a sopravvive­re per chi ama i libri — e tanti li amano davvero — non è un investimen­to economico. Di certo non si guadagna, è piuttosto un’emozione, una scommessa, un modo per stare meglio e dimostrare a chi non ci crede, a chi vuole trasformar­ci in compulsivi compratori di mutande, che non è solo il mercato a dettare legge, possono essere il cervello e il cuore di chi non cede alle sventure che si sono abbattute sulla categoria e sa che i bambini sono grandi lettori, e che se c’è una libreria, passando si entra e qualcosa si compra sempre. E allora, invece di piangere la morte di una libreria, se ne può acquistare una quota, dare un contributo, rinunciare alla comodità di un clic impersonal­e, entrare, prendere in mano quel libro e lasciare che la sua vita continui...

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