Corriere della Sera

Tra le montagne rosso autunno Badia festeggia i suoi cavalli

Domani la festa di San Leonardo nel borgo del Sud Tirolo che onora gli animali da fatica e da parata

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ema, Linda, vema, vieni, Linda, vieni. Enrico Nagler chiama la sua cavalla norica, che fa un cenno col muso alle sorelle Laila e Lena e lascia la pineta sotto il Monte Santa Croce galoppando verso il suo padroncino del Maso Runch. È novembre, i boschi di larici sono biondi, e lei ha capito che è quasi arrivato il giorno in cui dovrà portare la statua di San Leonardo, protettore dei contadini e dei loro animali, domani nella Cavalcata di San Leonardo con la quale Badia festeggia i suoi sauri. É infatti ancestrale e viscerale il legame di questo borgo del Sud Tirolo, incastonat­o tra il Gardenacia e appunto il Santa Croce, affettato come uno speck affumicato dal Rio Gadera, e i cavalli haflinger e norici, i primi destinati a parate, matrimoni e funerali, i secondi ai lavori nei poderi e nei masi. Basta guardare ad esempio il linguaggio privato che Nagler usa per comunicare alle tre sorelle dal manto scuro. «Un tempo usavamo i cavalli per trasportar­e il foraggio o la legna dal bosco, adesso sono diventati animali da compagnia — spiega il proprietar­io del maso Runch — che noi onoriamo con questa storica cavalcata alla quale prendono parte contadini di tutte le valli ladine con i costumi tipici». In autunno, gli sciatori sono ancora lontani e i «cannoni» di neve artificial­e fanno le prove sparando sulle piste verdi pois bianchi. Ma il foliage veste di rosso i boschi e rende romantiche le passeggiat­e su e giù da pendii e mulattiere e persino i trekking impegnativ­i al Conturines e al La Varella: ecco che Badia, famosa per la pista de la Gran Risa esaltata da Alberto Tomba, riscopre la sua anima più intima. Proprio dal profondo del cuore sembrano giungere le note della Missa Katharina di Jacob De Haan che Paolo Dapunt fa sciorinare al nuovo organo della barocca Chiesa dei Santi Giacomo e Leonardo affrescata da Matthäus Günther, le sue mani callose e grosse di contadino diventano esili e delicate quando tocca i tasti. «Ho 77 anni e da 62 mi emoziono a suonare in questa chiesa, anche se la gioia più grande si chiama Susy, il mio cavallo norico: non me ne separo mai».

Le majun in larice, abete e cirmolo dai balconi ancora fio- riti di gerani fanno pensare a un borgo delle fate, a un’armonia del vivere scandita appunto da gesti semplici e cordiali. Come quelli di Rosa e Antonio Piccolruaz che aprono volentieri la porta del duecentesc­o

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