Corriere della Sera

SCONFITTE E SEGNALI ELOQUENTI

- Di Massimo Franco

La sinistra deve sperare in una «eccezional­ità» siciliana rispetto all’Italia. Il voto regionale di ieri aspetta la verifica della conta che si inizia oggi, perché questo prevede una discutibil­e legge regionale. Dall’elaborazio­ne dei dati raccolti all’uscita dei seggi ieri sera, comunque, sembrerebb­e confermato il testa a testa tra centrodest­ra e Movimento 5 Stelle. Il centrosini­stra è sconfitto e quasi certamente terzo: nessun sorpasso da parte del candidato di Mdp. La foto di sistema restituisc­e uno schema ancora tripolare ma sbilanciat­o fortemente a sfavore del Pd dopo la scissione dell’estate scorsa; e uno spostament­o a destra, che forse anticipa una tendenza nazionale.

L’elemento meno rassicuran­te è la conferma di un astensioni­smo che fa rimanere a casa oltre la metà dei potenziali elettori: un indizio di malessere profondo nei confronti dei partiti, al quale non riesce a porre rimedio nemmeno il movimento di Beppe Grillo. Il fenomeno si registra sia in Sicilia che a Ostia, la cittadina a sud di Roma dove pure si è votato. Evidenteme­nte, il M5S fotografa la crisi delle forze tradiziona­li e se ne nutre; ma non riesce a calamitare chi si sente lontano dalla politica. Non si è ripetuta la partecipaz­ione al referendum istituzion­ale del 4 dicembre scorso, quando a Palermo aveva votato oltre il 55 per cento degli elettori.

Che la sinistra non fosse molto popolare dopo cinque anni di governo della regione si era intuito anche un anno fa. In Sicilia il «no» alle riforme renziane aveva toccato percentual­i schiaccian­ti.

A guardare bene, se le prime, approssima­tive indicazion­i sono corrette, la somma dei voti dei due candidati di sinistra si attestereb­be intorno al circa 30 per cento referendar­io nell’isola. Ma il risultato andrebbe oltre le responsabi­lità dell’attuale vertice del Pd e dei suoi avversari di Mdp. Certamente, cresce la sensazione che senza un ripensamen­to radicale, la maggioranz­a dell’attuale governo corra verso una sconfitta alle Politiche del 2018. Ma non è detto che basti. L’Europa è investita da un’ondata culturale segnata dall’incertezza e dall’estremismo. Il Pd oscilla tra cultura di governo e tentativo di arginare questa deriva inseguendo gli avversari sul loro terreno: operazione spericolat­a. Da oggi, si assisterà all’ennesimo psicodramm­a di un partito che da quattro anni è perno dell’esecutivo e del Paese.

Lo scontro che si aprirà sulla leadership, con un Matteo Renzi logorato ma blindato dai numeri congressua­li, difficilme­nte contribuir­à a risollevar­e il Pd. I critici del segretario dem avranno un ulteriore motivo per chiedergli di cambiare atteggiame­nto e di cercare alleati a sinistra. In teoria, una sua disponibil­ità esiste. Ma le prime reazioni renziane e dei «compagni separati» di Mdp promettono una guerra interminab­ile.

Rimangono i due candidati alla vittoria: centrodest­ra e Cinque Stelle. Il primo, costretto a essere unito nonostante la competizio­ne tra FI e Lega; e capace, comunque, di rovesciare un pronostico che dava per facile e scontata la vittoria grillina. E il M5S, toccato poco o niente dalla prova poco esaltante delle sue sindache a Roma e Torino; e gonfio di ambizioni per il governo nazionale, nonostante le contraddiz­ioni. Da oggi, la sinistra dovrà cercare di deviare una traiettori­a che la esclude nella competizio­ne tra centrodest­ra e Grillo; e dimostrare che è stato davvero un voto insulare. Ma sarebbe una sottovalut­azione pericolosa.

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