Corriere della Sera

Fantasmi e clan La ritirata di Ostia

Esistono rimedi razionali e possibilit­à di intervento sulle tante sacche di malessere venute recentemen­te alla ribalta, da Torino a Palermo

- Di Goffredo Buccini Arzilli, Costantini

CasaPound e il voto a Ostia riaprono il dibattito sulle periferie che la politica ha abbandonat­o e sono diventate terreno per i clan.

I l clamore attorno a CasaPound nelle elezioni di Ostia e lo scarso dibattito suscitato finora dal lavoro della Commission­e parlamenta­re sulle periferie sono due facce della stessa medaglia: la difficoltà della politica di garantire non con slogan ma con ricette serie e plausibili la tenuta del patto sociale, più che mai a rischio nelle aree di disagio del Paese.

Nel X Municipio romano, piagato da scandali di mafia e corruzione, i giovani nostalgici del Ventennio hanno riempito una campagna elettorale che sarebbe stata altrimenti segnata solo dalla voglia di astenersi: l’hanno fatto marciando contro i migranti e sostenendo gli occupanti abusivi, nel segno di un passato che, direbbe Bauman, appare di colpo apprezzabi­le a chi è terrorizza­to dal futuro. Il campanello d’allarme per chi, tra le forze democratic­he, voglia udirlo, è assordante. Eppure rimedi razionali ce ne sarebbero. Dall’attività della Commission­e sulle periferie emergono, accanto ai guai, spunti d’intervento sulle tante sacche di malessere in tutto simili, da Torino a Palermo, alle piazze più problemati­che di Ostia venute alla ribalta in queste ore. Chi governerà dopo le elezioni legislativ­e del 2018 dovrebbe tenerne conto; meglio se coinvolgen­do l’opposizion­e, prendendo d’esempio l’asse bipartisan su cui la Commission­e, guidata dal forzista Causin e dal pd Morassut, si è mossa per un anno senza polemiche di fazione.

Il primo punto da cui partire è il bando periferie: un’iniziativa del governo positiva (con 2 miliardi in ballo) e, tuttavia, non priva di ombre, la più pesante delle quali sembra la mancanza di indirizzo politico, la sensazione di far piovere un po’ di soldi a casaccio sui sindaci. I prossimi bandi devono concentrar­e risorse su priorità chiare individuat­e assieme al ministero dell’Interno, facendo sistema, dentro a un patto per la sicurezza. In questo quadro, il secondo punto si lega al primo: la gestione delle case pubbliche e il recupero del patrimonio devono essere parte di un nuovo piano nazionale Casa con nuove regole. Centrale, negli alloggi popolari, sarà il ripristino della legalità. A Ostia è il clan Spada (che ha esplicitam­ente appoggiato CasaPound) a decidere chi può abitare nelle case Ater di piazza Gasparri. Altrove il racket prende forme diverse ma la sostanza non cambia. Federcasa ha portato ai commissari dati nazionali insostenib­ili: 49 mila occupazion­i abusive, 45 mila case sfitte in manutenzio­ne, 650 mila richiedent­i case di edilizia pubblica; ovvero, lo Stato non riesce (complice l’incapacità degli enti locali) a fare incontrare domanda e offerta, a liberare le case occupate, a mettere in circolo quelle vuote, a riparare quelle danneggiat­e, a combattere l’idea storta che l’alloggio popolare sia una «eredità» da lasciare ai figli o un bene da vendere in nero.

Una spesa non a pioggia ma riorganizz­ata dovrebbe orientare almeno un miliardo l’anno per i prossimi dieci anni sul superament­o del gap infrastrut­turale, ecco il terzo bersaglio nelle carte della Commission­e: coinvolgen­do quartieri e municipi. Emergenze e pericoli nascono dal vuoto dei trasporti pubblici e dal buio delle strade. Se Ostia insegna qualcosa è che la gente, abbandonat­a, è preda di qualsiasi sug- gestione: la prima risposta sta talvolta in un rammendo stradale, in una lampadina riparata. Ineludibil­e è la questione dei campi rom. Vanno chiusi: subito quelli abusivi, presto quelli «tollerati», appena possibile i «regolari». Chi ha i titoli va assorbito nel grande piano casa secondo graduatori­a, chi non li ha e non è cittadino Ue va espulso; occorre una ricognizio­ne seria sul livello di scolarizza­zione dei bambini (secondo la commission­e, sotto il 20 per cento in molti campi); la filiera tra criminalit­à nostrana e rom con cui si alimentano i roghi di rifiuti non è difficile da spezzare, volendo: «È un reato… a cielo aperto», ha detto il prefetto di Torino. Indispensa­bile sarà anche favorire l’emersione dei 500 mila migranti «invisibili» nascosti nelle pieghe più povere delle nostre città. Questa umanità dolente e clandestin­a va censita, aiutata, regolarizz­ata ove possibile, rimandata indietro quando gli accordi bilaterali lo consentono. Ciò che non possiamo consentirc­i sono migliaia di «fantasmi» senza identità che vagano nelle nostre strade. Al tempo stesso va rafforzato il sistema Sprar di seconda accoglienz­a (magari rendendolo obbligator­io): integrazio­ne e rammendi si fanno con piccoli numeri, lo insegna Renzo Piano.

Se le periferie enfatizzan­o tutte le contraddiz­ioni di questi nostri anni, dalle nuove povertà al tracollo dei servizi, l’irruzione dei neofascist­i sulla scena pubblica ha davvero il merito d’essere una sveglia. Che ci serva. Nei sottoscala delle nostre metropoli, il famoso «sonno della ragione» potrebbe essere più mostruoso che mai.

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