Fantasmi e clan La ritirata di Ostia
Esistono rimedi razionali e possibilità di intervento sulle tante sacche di malessere venute recentemente alla ribalta, da Torino a Palermo
CasaPound e il voto a Ostia riaprono il dibattito sulle periferie che la politica ha abbandonato e sono diventate terreno per i clan.
I l clamore attorno a CasaPound nelle elezioni di Ostia e lo scarso dibattito suscitato finora dal lavoro della Commissione parlamentare sulle periferie sono due facce della stessa medaglia: la difficoltà della politica di garantire non con slogan ma con ricette serie e plausibili la tenuta del patto sociale, più che mai a rischio nelle aree di disagio del Paese.
Nel X Municipio romano, piagato da scandali di mafia e corruzione, i giovani nostalgici del Ventennio hanno riempito una campagna elettorale che sarebbe stata altrimenti segnata solo dalla voglia di astenersi: l’hanno fatto marciando contro i migranti e sostenendo gli occupanti abusivi, nel segno di un passato che, direbbe Bauman, appare di colpo apprezzabile a chi è terrorizzato dal futuro. Il campanello d’allarme per chi, tra le forze democratiche, voglia udirlo, è assordante. Eppure rimedi razionali ce ne sarebbero. Dall’attività della Commissione sulle periferie emergono, accanto ai guai, spunti d’intervento sulle tante sacche di malessere in tutto simili, da Torino a Palermo, alle piazze più problematiche di Ostia venute alla ribalta in queste ore. Chi governerà dopo le elezioni legislative del 2018 dovrebbe tenerne conto; meglio se coinvolgendo l’opposizione, prendendo d’esempio l’asse bipartisan su cui la Commissione, guidata dal forzista Causin e dal pd Morassut, si è mossa per un anno senza polemiche di fazione.
Il primo punto da cui partire è il bando periferie: un’iniziativa del governo positiva (con 2 miliardi in ballo) e, tuttavia, non priva di ombre, la più pesante delle quali sembra la mancanza di indirizzo politico, la sensazione di far piovere un po’ di soldi a casaccio sui sindaci. I prossimi bandi devono concentrare risorse su priorità chiare individuate assieme al ministero dell’Interno, facendo sistema, dentro a un patto per la sicurezza. In questo quadro, il secondo punto si lega al primo: la gestione delle case pubbliche e il recupero del patrimonio devono essere parte di un nuovo piano nazionale Casa con nuove regole. Centrale, negli alloggi popolari, sarà il ripristino della legalità. A Ostia è il clan Spada (che ha esplicitamente appoggiato CasaPound) a decidere chi può abitare nelle case Ater di piazza Gasparri. Altrove il racket prende forme diverse ma la sostanza non cambia. Federcasa ha portato ai commissari dati nazionali insostenibili: 49 mila occupazioni abusive, 45 mila case sfitte in manutenzione, 650 mila richiedenti case di edilizia pubblica; ovvero, lo Stato non riesce (complice l’incapacità degli enti locali) a fare incontrare domanda e offerta, a liberare le case occupate, a mettere in circolo quelle vuote, a riparare quelle danneggiate, a combattere l’idea storta che l’alloggio popolare sia una «eredità» da lasciare ai figli o un bene da vendere in nero.
Una spesa non a pioggia ma riorganizzata dovrebbe orientare almeno un miliardo l’anno per i prossimi dieci anni sul superamento del gap infrastrutturale, ecco il terzo bersaglio nelle carte della Commissione: coinvolgendo quartieri e municipi. Emergenze e pericoli nascono dal vuoto dei trasporti pubblici e dal buio delle strade. Se Ostia insegna qualcosa è che la gente, abbandonata, è preda di qualsiasi sug- gestione: la prima risposta sta talvolta in un rammendo stradale, in una lampadina riparata. Ineludibile è la questione dei campi rom. Vanno chiusi: subito quelli abusivi, presto quelli «tollerati», appena possibile i «regolari». Chi ha i titoli va assorbito nel grande piano casa secondo graduatoria, chi non li ha e non è cittadino Ue va espulso; occorre una ricognizione seria sul livello di scolarizzazione dei bambini (secondo la commissione, sotto il 20 per cento in molti campi); la filiera tra criminalità nostrana e rom con cui si alimentano i roghi di rifiuti non è difficile da spezzare, volendo: «È un reato… a cielo aperto», ha detto il prefetto di Torino. Indispensabile sarà anche favorire l’emersione dei 500 mila migranti «invisibili» nascosti nelle pieghe più povere delle nostre città. Questa umanità dolente e clandestina va censita, aiutata, regolarizzata ove possibile, rimandata indietro quando gli accordi bilaterali lo consentono. Ciò che non possiamo consentirci sono migliaia di «fantasmi» senza identità che vagano nelle nostre strade. Al tempo stesso va rafforzato il sistema Sprar di seconda accoglienza (magari rendendolo obbligatorio): integrazione e rammendi si fanno con piccoli numeri, lo insegna Renzo Piano.
Se le periferie enfatizzano tutte le contraddizioni di questi nostri anni, dalle nuove povertà al tracollo dei servizi, l’irruzione dei neofascisti sulla scena pubblica ha davvero il merito d’essere una sveglia. Che ci serva. Nei sottoscala delle nostre metropoli, il famoso «sonno della ragione» potrebbe essere più mostruoso che mai.