Terrorismo personale o politico L’America si sente sotto assedio
L’assalto più cruento in un luogo di culto. Nel Paese ci sono 88 armi ogni 100 persone
Sono i mille volti del terrore. All’inizio di ottobre il tiro al segno sulla folla davanti al Mandalay Hotel di Las Vegas, con quasi 60 vittime. Poi l’attacco con un veicolo-ariete nelle strade di New York, azione commessa da un giovane uzbeco trapiantato (male) negli Usa e seguace dello Stato Islamico.
Ora l’assalto nel paesino di Sutherland Springs, a sud di San Antonio, Texas: massacro che — secondo le autorità — è il peggiore mai avvenuto in una chiesa degli Usa, con i fedeli trucidati in modo brutale.
L’America — da punti di vista diversi — si sente sotto assedio. C’è lo sparatore folle che prende di mira il prossimo solo per sfogare la sua rabbia e rispondere ai «soprusi» che pensa di aver subito.
O semplicemente passa all’azione spinto dall’instabilità mentale. C’è il terrorista faida-te, che studia l’ideologia jihadista sul web e magari è ispirato in modo remoto: due molle sufficienti a trasformarlo in un guerrigliero urbano, implacabile e feroce.
Oppure c’è lo xenofobo, pieno d’odio, che imita il mujahed. Scenario già visto nel 2015 a Charleston, in South Carolina, quando il neonazi Dylann Roof è entrato in un tempio afro-americano e ha freddato nove persone raccolte in preghiera. Spedizione punitiva di un estremista, con evidenti guai personali.
Sono solo alcuni eventi di una catena di violenza — con molte matrici — che sconvolge uno dei Paesi in teoria meglio difesi.
Polizie municipali dotate di blindati ed equipaggiate come un esercito, dipartimenti della sicurezza che spendono montagne di denaro per la sicurezza dei cittadini — è il caso di New York —, agenzie che spiano e sorvegliano. Telecamere, intercettazioni, controlli a tappeto.
Eppure tutto questo non basta. Come non bastano le pistole nella fondina di milioni di americani. Anzi alcune di queste armi invece che garantire protezione finiscono per tramutarsi in mezzi di sterminio: non eliminano i «cattivi», annientano gli innocenti.
Come i bimbi di Newtown portati via dalla follia di Adam Lanza e gli appassionati di musica country lungo lo strip di Las Vegas, centrati da centinaia di proiettili esplosi dai fucili del giocatore Stephen Paddock.
Le statistiche dicono che ci sono 88 armi ogni 100 persone, governatore del Texas arsenali che continuano a crescere dopo ogni strage per il timore che le autorità pongano dei limiti.
Il movente è importante solo fino a un certo punto. Anche perché di alcuni episodi gli investigatori non hanno risposte precise, neppure dopo anni di indagini.
Il terrorismo «personale» — che magari non ha una radice ideologica — si accompagna a quello innescato dalle tensioni politiche. I conflitti in Medio Oriente, lontani migliaia di chilometri, sono la «benzina» che alimenta alcuni dei killer.
Ma anche le tensioni razziali vicine, in un Paese mai così diviso, si tramutano in un innesco micidiale. Ancora: i luoghi di culto che diventano bersagli per ragioni religiose o altro.
A tenere tutto insieme la propensione alla violenza e la preparazione dell’atto. Agevolate dalla disponibilità di bocche da fuoco, con caricatori capaci e meccanismi che permettono di usarne in quantità «militare». Pensate ai 23 fucili accumulati da Paddock nella sua stanza d’hotel di Las Vegas trasformata poi in postazione da cecchino. E prima di lui la coppia islamista di San Bernardino e la guardia giurata di Orlando, Omar Mateen.
Tutti si considerano, a modo loro, dei vendicatori. Spesso sono metodici e precisi nella messa a punto del loro piano. Ma alla fine sono soltanto degli assassini.
Le nostre preghiere sono per tutti quelli che sono stati vittime di questo attacco malvagio Il nostro grazie va alle forze dell’ordine