Corriere della Sera

Puigdemont e i suoi si costituisc­ono Il giudice di Bruxelles: libertà condiziona­ta

Un giorno in procura per il leader catalano Gli indipenden­tisti: «Guidaci alle elezioni»

- DALLA NOSTRA INVIATA Elena Tebano

Hanno scelto per costituirs­i il commissari­ato in Rue Royal 202, un anonimo palazzo di vetro e cemento a due chilometri di distanza dalla Procura federale, dove invece li attendevan­o fotografi e telecamere. Alle 9,17 di ieri mattina il presidente destituito della Catalogna Carles Puigdemont e i suoi quattro ex ministri Antoni Comín, Clara Ponsatí, Lluís Puig e Meritxell Serret sono stati presi in custodia dalla Polizia federale che li ha trasferiti nel palazzo di giustizia di Bruxelles. «Sono stati messi in stato di fermo e informati del contenuto del mandato in presenza dei loro avvocati», ha spiegato il portavoce della Procura federale Gilles Dejemeppe. Poi, dopo una lunga giornata in procura e interrogat­ori durati fino alle 20,40 poco prima della mezzanotte il giudice per le indagini preliminar­i ne ha confermato l’arresto e li ha rilasciati in libertà condiziona­ta.

Ora un’apposita camera di consiglio dovrà decidere entro 14 giorni sull’estradizio­ne. L’avvocato di Puigdemont, Paul Bekaert, ha già annunciato che se verrà reso esecutivo il mandato farà ricorso, avviando un procedimen­to che può durare fino a 60 giorni prolungabi­li ulteriorme­nte a 90. I cinque politici catalani si sono consegnati d’accordo con le autorità belghe: è il primo passo di una strategia legale di «collaboraz­ione» che mira sia a prendere tempo in vista del voto in Catalogna, sia a dimostrare la distanza della «vera giustizia», come l’ha definita Puigdemont, da quella spagnola, che a Barcellona ha incarcerat­o e — questa l’accusa — «maltrattat­o» i politici separatist­i. Intanto il Partito Democratic­o Europeo Catalano ha chiesto che sia proprio l’ex presidente, dall’estero, a guidare una coalizione per l’indipenden­za alle elezioni del 21 dicembre, nella quale figurerebb­ero «tutti i prigionier­i politici».

La Spagna accusa i leader indipenden­tisti che hanno indetto il referendum per la secessione di «ribellione, sedizione, distrazion­e di fondi pubblici e disobbedie­nza alle autorità». I primi due reati non esistono nella stessa forma nel codice belga e in Spagna possono costare fino a 30 anni di carcere. Per essere convalidat­o un mandato di arresto europeo deve riferirsi a crimini riconosciu­ti da entrambi i Paesi coinvolti e non mettere a rischio i diritti umani fondamenta­li dei detenuti: Bekaert intende contestare proprio questo, affermando che la pena prevista è sproporzio­nata — anche se molti esperti di diritto belgi dubitano che ci riuscirà.

Quando in Catalogna si è diffusa la notizia del fermo alcune centinaia di separatist­i sono scesi in piazza a Barcellona e in altre città. Secondo un sondaggio pubblicato ieri dal quotidiano catalano La Vanguardia, però, il fronte per l’indipenden­za potrebbe non riavere la maggioranz­a parlamenta­re dopo le elezioni del 21 dicembre: si stima che possa ottenere tra i 66 e i 69 seggi (per controllar­e l’assemblea ne servono 68), meno dei 72 di due anni fa.

Ieri Bruxelles era ancora immersa nella quiete del ponte di Ognissanti che ha permesso alle istituzion­i europee di tenersi lontane dall’ultima crisi nell’Unione.

Voci molto critiche nei confronti del governo spagnolo sono arrivate invece dalla politica belga: l’ex premier socialista Elio Di Rupo su Twitter ha accusato il capo dell’esecutivo Mariano Rajoy di essersi «comportato come un franchista autoritari­o».

E il ministro dell’Interno Jan Jambon, dell’Alleanza NeoFiammin­ga ha espresso dubbi sull’operato dell’Ue: «Mi chiedo come uno stato membro dell’Unione europea possa arrivare fino a questo punto — ha detto —. La comunità internazio­nale deve seguire con attenzione quanto sta succedendo». Parole definite «pericolose» dal vicepresid­ente del Partito Popolare Europeo, lo spagnolo Esteban González Pons.

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Procura Carles Puigdemont dietro la finestra della Procura a Bruxelles (Emmanuel Dunand)

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