Corriere della Sera

«Contava su amici e nuovi affari» Tulliani e la latitanza pianificat­a da tempo

Dubai conferma l’arresto. Il nodo del rimpatrio

- di Giovanni Bianconi

È stata una fuga pianificat­a e preparata da tempo, in via preventiva, quella di Giancarlo Tulliani a Dubai. Organizzat­a a ridosso dei primi arresti per lo scandalo delle «slot machine». Non appena l’indagine a suo carico è venuta alla luce, il 15 dicembre scorso, il cognato di Gianfranco Fini ordinò il trasferime­nto di 520.000 euro dal proprio conto del Monte dei Paschi di Siena presso un altro della Emirates Ndb Bank, sempre intestato a suo nome; operazione bloccata grazie alla segnalazio­ne della banca italiana alla Guardia di finanza. Lo stesso giorno, anziché andare a Catania dove aveva già prenotato una camera d’albergo, prese un aereo per gli Emirati arabi, e al telefono confidò al padre Sergio — indagato nella stessa inchiesta insieme alla sorella Elisabetta — di non avere alcuna intenzione di tornare.

A Dubai il giovane che acquistò il famoso appartamen­to di Montecarlo ereditato da Alleanza nazionale guidata da Fini, aveva intessuto «rapporti personali e imprendito­riali», secondo la ricostruzi­one dei pubblici ministeri, che gli hanno consentito una tranquilla latitanza nonostante il mezzo milione bloccato appena in tempo; cominciata nel marzo scorso, quando è partito l’ordine d’arresto, e conclusa — per adesso — con il fermo dell’altra settimana, convalidat­o ieri dal giudice per i prossimi due mesi, in attesa della decisione sull’estradizio­ne.

Tulliani viveva lì con regolari documenti di soggiorno e un’asserita attività lavorativa nel campo immobiliar­e (sempre lo stesso). Con risorse sufficient­i a garantirgl­i anche le frequenti visite della fidanzata da Roma, una dipendente dell’Atac figlia di dipendenti Atac che volava avanti e indietro con gli Emirati, in business class. Ma all’improvviso tutto è cambiato, e a parte l’episodio dei giornalist­i che lo infastidiv­ano al punto da fargli chiedere l’aiuto della polizia che poi l’ha arrestato, ora il quarantenn­e cognato di Fini si trova nel carcere del Paese che fin qui l’aveva ospitato al pari di altri illustri latitanti, dall’ex deputato di Forza Italia condannato per ‘ndrangheta, Amedeo Matacena, in giù. C’è persino chi mette in relazione la svolta con le recentissi­me visite-lampo a Dubai del premier Paolo Gentiloni e del ministro degli Esteri Angelino Alfano. Ma a parte voci e illazioni, la certezza è che ora comincerà una procedura per il rimpatrio dall’esito incerto. Alla quale l’ultimo dei Tulliani potrebbe decidere di opporsi o meno, e questo potrebbe cambiare il corso dell’iter.

Negli Emirati sarà assistito da un avvocato locale ma i suoi difensori italiani, Titta e Nicola Madia, da tempo gli consigliav­ano di rientrare in Italia, mettersi a disposizio­ne della Procura di Roma e attendere l’esito di un processo per riciclaggi­o che loro ritengono infondato. Perché sostengono che i milioni di euro trasferiti dal «re delle slot» Francesco Corallo a Sergio e Giancarlo Tulliani sono tutt’al più una tangente figlia di altri reati: la corruzione, che nel caso an- drebbe contestata a Fini e non a loro, oppure un millantato credito o un traffico illecito di influenze. Tutto prescritto o non previsto dal codice penale all’epoca dei fatti. Di qui il suggerimen­to di tornare a casa, ignorato da Tulliani jr. Che ora potrebbe ripensarci giacché l’inchiesta è ormai conclusa, il procurator­e aggiunto Michele Prestipino e il pubblico ministero Barbara Sargenti attendono solo di fissare gli interrogat­ori richiesti dallo stesso Fini e dalla compagna Elisabetta Tulliani per chiedere il probabile rinvio a giudizio.

Niente più rischio di inquinamen­to delle prove, quindi. Ma il pericolo di fuga, alla luce dei precedenti comportame­nti dell’indagato resterebbe lampante. Già il tribunale del Riesame, confermand­o l’ordinanza di custodia cautelare, aveva sottolinea­to «la assoluta inaffidabi­lità del Tulliani», nonché «la spregiudic­atezza e la profession­alità dimostrata nella consumazio­ne dei reati contestati». Tuttavia gli avvocati italiani potrebbero ancora chiedere gli arresti domiciliar­i, magari garantiti dal «braccialet­to elettronic­o», sebbene ci sia prima da giocare la partita dell’estradizio­ne. Decisiva per Tulliani, e forse per gli altri ricercati nascosti da quelle parti.

L’Italia Le visite di Gentiloni e Alfano negli Emirati L’ipotesi che l’indagato non rifiuti l’estradizio­ne

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(foto Ansa) Fermato Giancarlo Tulliani, 41 anni

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