Facciamo attenzione ai nuovi Savonarola
AFirenze, nel 1497, 520 anni fa, accadde così. Fu una tragedia, ma se si ripetesse ai nostri giorni sarebbe una farsa tragica, come l’ondata neosavonaroliana che rischia di sommergerci. Accadde che i Piagnoni di frate Girolamo Savonarola, orripilati dalla corruzione peccaminosa della Firenze medicea, decisero di punire le donne che indossavano abiti considerati «lascivi». Sbarrarono le porte delle taverne, luoghi di «depravazione» dove gli uomini tracannavano vino e si abbandonavano deplorevolmente a un linguaggio «sconcio». Vietarono il gioco dei dadi, misero al bando gli strumenti musicali, proibirono ogni genere di cosmetici in grado di assecondare la riprovevole «vanità» delle persone, uomini e donne, scostumate. Alla fine del Carnevale, nel martedì grasso che preannunciava la grande mortificazione quaresimale, appiccarono in piazza un gigantesco «falò delle vanità». Alimentarono il fuoco con alcuni dipinti di Botticelli personalmente dati alle fiamme dall’artista che, trascinato dal suo nuovo fanatismo savonaroliano, volle autofustigarsi per aver rappresentato la sua Venere in una nudità oscena e dato forma addirittura a scene del turpe «Decameron» del Boccaccio. E poi gettarono altri dipinti, manoscritti con il testo di canzoni proibite, specchi, profumi, livree, vestiti simboli dell’impudicizia, strumenti musicali senza distinzioni, cornamuse, flauti, liuti, chitarre, cetre, arpe, bambole, parrucche, carte da gioco. Le fiamme divamparono senza sosta. I fiorentini che non si allineavano ai dettami della dittatura savonaroliana venivano perseguitati. Contro il papato «corrotto» Savonarola, disgustato, diceva, stilando il suo manifesto ideologico: «Noi conduciamo li uomini alla simplicità e le donne a onesto vivere, voi li conducete a lussuria e a pompa e a superbia, ché avete guasto il mondo e avete corrotto li uomini nella libidine, le donne alla disonestà, li fanciulli avete condotto alle soddomie e alle spurcizie e fattoli diventare come meretrici». La cappa oscurantista ebbe come fine tragica l’impiccagione di Savonarola, con il suo corpo bruciato, come nel «falò delle vanità». Una tragedia, esattamente 520 anni fa. La sua (eventuale) ripetizione, la sua imitazione sciocca, una farsa tragica.