Schiavi dell’algoritmo I pericoli di troppo
La Rete e i rischi per la democrazia
La questione ricorda quella delle armi. La colpa è di chi spara o di chi mette in giro strumenti pericolosi, e si disinteressa delle conseguenze?
Qui però parliamo di algoritmi, i procedimenti di calcolo che permettono alle grandi piattaforme (Facebook, Google, YouTube, Instagram, Twitter, ecc) di sapere dove siamo, cosa leggiamo, come viaggiamo, cosa desideriamo. C’è chi dice: è un piccolo prezzo da pagare, considerata l’utilità di Google Maps, il piacere degli amici su Facebook, gli stimoli di Instagram, la prontezza di Twitter. Se tutto si fermasse qui, potremmo essere d’accordo. Ma c’è molto di più, e mette in pericolo la nostra vita comune.
Facebook e Google — i due giganti — lo sanno. Ma guadagnano troppo, per pensare di cambiare strada. Non accettano di essere considerati dei media, responsabili di ciò che pubblicano. I nostri contenuti (testi, foto, luoghi, gusti) gli vanno bene finché possono analizzarli e venderli (a un partito politico o a un ristorante, non fa differenza). Se sorgono problemi, se ne lavano le mani. O almeno, ci provano.
Quello che accade è sotto gli occhi di tutti. Letteralmente. Gli algoritmi analizzano il nostro comportamento online e c’inducono a vedere, leggere e sentire ciò che desideriamo. Voi direte: benissimo! Neanche per sogno. Una democrazia funziona perché qualcuno mette in discussione le nostre idee. Perché ci confrontiamo, discutiamo, vediamo cose diverse, ascoltiamo opinioni differenti; e magari cambiamo idea. Gli algoritmi fanno in modo che questo non accada. O accada poco.
Quando aprite Google, vedete una serie di notizie. In questo momento, sul mio iPhone, trovo: Inter (da FC Inter 1908), Luigi Di Maio (Il Fatto Quotidiano),