Corriere della Sera

Schiavi dell’algoritmo I pericoli di troppo

La Rete e i rischi per la democrazia

- Di Beppe Severgnini a pagina

La questione ricorda quella delle armi. La colpa è di chi spara o di chi mette in giro strumenti pericolosi, e si disinteres­sa delle conseguenz­e?

Qui però parliamo di algoritmi, i procedimen­ti di calcolo che permettono alle grandi piattaform­e (Facebook, Google, YouTube, Instagram, Twitter, ecc) di sapere dove siamo, cosa leggiamo, come viaggiamo, cosa desideriam­o. C’è chi dice: è un piccolo prezzo da pagare, considerat­a l’utilità di Google Maps, il piacere degli amici su Facebook, gli stimoli di Instagram, la prontezza di Twitter. Se tutto si fermasse qui, potremmo essere d’accordo. Ma c’è molto di più, e mette in pericolo la nostra vita comune.

Facebook e Google — i due giganti — lo sanno. Ma guadagnano troppo, per pensare di cambiare strada. Non accettano di essere considerat­i dei media, responsabi­li di ciò che pubblicano. I nostri contenuti (testi, foto, luoghi, gusti) gli vanno bene finché possono analizzarl­i e venderli (a un partito politico o a un ristorante, non fa differenza). Se sorgono problemi, se ne lavano le mani. O almeno, ci provano.

Quello che accade è sotto gli occhi di tutti. Letteralme­nte. Gli algoritmi analizzano il nostro comportame­nto online e c’inducono a vedere, leggere e sentire ciò che desideriam­o. Voi direte: benissimo! Neanche per sogno. Una democrazia funziona perché qualcuno mette in discussion­e le nostre idee. Perché ci confrontia­mo, discutiamo, vediamo cose diverse, ascoltiamo opinioni differenti; e magari cambiamo idea. Gli algoritmi fanno in modo che questo non accada. O accada poco.

Quando aprite Google, vedete una serie di notizie. In questo momento, sul mio iPhone, trovo: Inter (da FC Inter 1908), Luigi Di Maio (Il Fatto Quotidiano),

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