Transenne, permessi, controlli: gli errori di Comune e questura nella serata di piazza San Carlo
Una catena di errori prese il posto di quella di comando, la notte del 3 giugno in piazza San Carlo, a Torino, quando un’ondata di panico trasformò in una ressa che travolse tutto e tutti i tifosi radunati davanti al maxischermo per la finale di Champions, Juve-Real. Tragico effetto, un morto e 1.526 feriti, per i quali la sindaca Chiara Appendino, il questore Angelo Sanna e altre 18 persone sono indagate per lesioni, omicidio colposo e disastro colposo.
Fu un errore «garantire una capienza massima di 40.000 persone», quando avrebbero dovuto essercene la metà, scrivono i pubblici ministeri Vincenzo Pacileo e Antonio Rinaudo in alcuni degli inviti a comparire. Notificati per gli interrogatori, fissati già in settimana. Sbagliata si rivelò la disposizione dei tifosi: avrebbero dovuto essere «separati in aree di capienza non superiore a 500 unità, divise in barriere frangifolla». Come si vede ai concerti o in piazza San Pietro, per l’Angelus del Papa. E fu errata la sistemazione delle transenne attorno alla piazza, «agganciate tra di loro», e la cui rimozione «in caso di emergenza era resa impossibile dalla totale mancanza di personale addetto».
Tra gli altri, sono finiti sotto accusa l’architetto Enrico Bertoletti, cui era stato affidato il progetto di allestimento: per i magistrati, avrebbe presentato un piano da cui si desume una «densità di 3,96 spettatori per metro quadro, superiore alla cosiddetta soglia di “panico incipiente”».
Secondo l’ipotesi della Procura, alcuni funzionari del Comune avrebbero «omesso di segnalare alla sindaca» che l’autorizzazione per l’occupazione del suolo pubblico sarebbe dovuta essere «automaticamente revocata» per l’as- senza di accertamenti e controlli cui il via libera della festa «era subordinato». Altro che
show must go on: andava tutto annullato. Dubbi emergono anche dai documenti della sezione «Ordine e sicurezza pubblica» della questura, del 29 e 31 maggio, e firmati dal capo di gabinetto, Michele Mollo (indagato). Alla luce del disastro, le stesse perplessità che solleva l’ordinanza 1678/17 del 2 giugno: 15 pagine di disposizioni con in fondo l’autografo del questore. Disposizioni che non sarebbero state correttamente applicate dal dirigente del commissariato «Centro», Alberto Bonzano, responsabile dell’ordine pubblico, quella notte (e indagato).
La tragedia, e alcune testimonianze, sembrano dimostrare come in quelle righe ci fossero prescrizioni poi ignorate e altre rivelatesi del tutto inefficaci. L’opera di filtraggio di polizia e carabinieri iniziò dopo le 13, quando dal primo mattino decine di tifosi erano già entrati in piazza. Tra le carte, sottolineato e in maiuscolo, sopra una piantina della piazza, c’è un altro ordine che rimarrà inascoltato: «Chiusura delle rampe di accesso pedonale al parcheggio sotterraneo». Da lì, invece, passeranno centinaia di bottiglie di vetro dei venditori abusivi.
Nell’ordinanza del questore, c’è pure un richiamo agli «attentati di Nizza e di Berlino, fatti mediante l’utilizzo di un automezzo pesante». Come pure si cita «quanto accaduto a Manchester, quando l’attentatore si è infiltrato nel flusso delle persone in uscita».
C’era anche una aliquota di primo intervento (Api) dei carabinieri, unità che entra in azione in caso di attacco terroristico. Ma di quella minaccia forse non si è calcolata una conseguenza: decisiva. Il panico.
«L’opera di filtraggio della folla iniziò dopo le 13, quando molti tifosi erano già entrati»