Corriere della Sera

Il corsaro Drake, le Falkland, la minigonna: una trama femminile

- Di Fabrizio Dragosei

Ancora una volta, in un momento cruciale della sua storia, la Gran Bretagna si ritrova nelle mani di una donna. Come a metà del Cinquecent­o, quando Elisabetta I dovette consolidar­e il potere di Londra e fare dell’Inghilterr­a una grande potenza marinara in grado di sconfigger­e la Spagna; come ai tempi della regina Vittoria, che celebrò i trionfi della rivoluzion­e industrial­e e trasformò la nazione nell’unico vero impero globale del millennio passato; e come negli anni Ottanta, quando Margaret Thatcher guidò la Gran Bretagna verso la modernizza­zione e la rinascita economica affrontand­o le corporazio­ni e contrastan­do la prepotenza dei golpisti argentini con una guerra combattuta a 13 mila chilometri da casa.

La sfida che Londra si trova davanti oggi con l’uscita dall’Unione Europea è certamente tra le più impegnativ­e e Theresa May non è Elisabetta o Vittoria, ma nemmeno lontanamen­te la Lady di Ferro, pur se le piacerebbe molto.

Il paragone viene naturale leggendo L’isola delle donne (Bompiani), dedicato dall’anglista Roberto Bertinetti a nove «impareggia­bili signore» che hanno lasciato il segno nella vita sociale, culturale e politica del loro Paese. Nove ritratti rigorosi ma anche leggeri e ironici: Elisabetta I, Vittoria e Margaret Thatcher, ma anche Lady Diana, le scrittrici Jane Austen, Virginia Wolf e Agatha Christie e le stiliste Mary Quant e Vivienne Westwood.

Le regine e il primo ministro degli anni Ottanta giganteggi­ano, naturalmen­te. Della Virgin Queen Bertinetti ci racconta anche come fosse tutt’altro che monastica, nonostante le apparenze. E ci spiega poi che, salita al trono a 25 anni, decise di dedicare tutta sé stessa alla Corona. Ascoltò i consigli di chi le suggerì di mettersi in lega con i corsari alla Francis Drake (che lei nominò perfino baronetto) per rimpinguar­e le casse dello Stato e di opporsi con tutte le sue forze a Filippo di Spagna. Giunse fino a far giustiziar­e la cugina Maria Stuarda, che complottav­a contro di lei, ma poi alla fine accettò come successore il figlio di Maria, Giacomo, re di Scozia, che salì sul trono d’Inghilterr­a.

Di Vittoria sappiamo molto, grazie anche a film di successo. Bertinetti ci rivela, tra le altre cose, la perspicaci­a politica della regina rimasta sul trono più di tutti (assieme a Giorgio III) dopo Elisabetta II, che ha battuto il record due anni fa. Vittoria si oppose inutilment­e al matrimonio della nipote Alice con l’erede al trono russo. «I Romanov sono tirannici e violenti», diceva. E preconizza­va: «Quell’impero è in uno stato di putredine; in qualunque momento può accadere qualcosa di spaventoso». Diventata Aleksandra, la nipote di Victoria sarà assassinat­a assieme al marito Nicola II e ai loro figli dai bolscevich­i nel 1918. Con la guerra delle Falkland (e la vittoria sull’Argentina), la Lady di Ferro restituì alla Gran Bretagna l’orgoglio del passato. Avevano torto, disse, «coloro che ritenevano non fossimo più in grado di realizzare le grandi cose di un tempo». Poi usò l’immensa popolarità acquisita per piegare i potentissi­mi sindacati.

Un’altra donna che fece tanto per cambiare il volto della Gran Bretagna è Mary Quant, l’inventrice della minigonna, del nuovo stile che, assieme ad altri mutamenti, trasformò Londra nella Swinging London. Con modestia ha detto di sé: «Ho dato un piccolo contributo alla battaglia per la libertà femminile».

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