Fair play finanziario è scontro in Formula 1
Il Mondiale si è chiuso in Messico e domenica farà una gita turistica in Brasile, ma un campionato parallelo terrà banco per mesi. Dopo lo Strategy Group di ieri a Ginevra l’impressione è che le trattative per disegnare la F1 del futuro saranno lunghe e complesse. Anche i nuovi padroni americani cominciano a rendersene conto; dopo lo scontro sui motori del 2021 altri scogli si profilano all’orizzonte. A parole il problema dei costi, ormai fuori controllo (la Mercedes da sola spende mezzo miliardo a stagione), è condiviso da tutti, ma quando si arriva alle misure per abbatterli scattano le divisioni. Nel meeting svizzero, al quale la Ferrari ha partecipato con Sergio Marchionne e Maurizio Arrivabene per far sentire tutto il suo peso politico dopo aver annunciato che non resterà in F1 se «sarà svilita al punto da renderla irriconoscibile», è stato solo il primo passo. Serviranno concessioni dall’una e dall’altra parte, ma l’idea di Liberty di mettere un tetto alle spese delle squadre non piace ai grandi. Si parla di una soglia intorno ai 200 milioni l’anno con l’obiettivo di avere una lotta più equilibrata in pista. Una sorta di fair play finanziario in stile calcistico, anche se molto diverso: perché la Uefa fissa parametri e obiettivi differenti a seconda della società (Real e Bologna non possono essere paragonabili), qui invece i paletti sarebbero più «democratici». L’ostacolo è non solo «ideologico» — i big difendono la loro libertà di investire —, ma anche «fisico». Chi controllerebbe i team? Un esercito di revisori dei conti? La F1 diventerebbe il Mondiale di ragioneria? Scartando suggestive ipotesi circolate, tipo ispettori finanziari nel paddock su incarico della Federazione e di Liberty, la difficoltà rispetto al calcio è che una monoposto è un puzzle di 13 mila pezzi provenienti da fornitori di tutto il mondo. E trovare gli incastri giusti è una sfida al limite tanto quanto prendere le curve a 300 all’ora.