La felice «solitudine» delle gemelline separate
Torace e addome erano uniti. Intervento al Bambino Gesù di Roma
All’improvviso, separate. Dieci ore di sala operatoria e undici interventi tutti insieme, una vera maratona per l’équipe del Bambino Gesù che ha ridato nuova vita a due gemelline siamesi di 17 mesi unite per il torace e l’addome. La preparazione ha richiesto un anno.
Chissà cosa hanno provato nel ritrovarsi all’improvviso lontane. Nello stesso letto, ma libere di muoversi ciascuna per conto proprio dopo aver vissuto avvinghiate per 17 mesi. È chissà se questa esperienza neonatale da record avrà un peso psicologico nel loro futuro. Rayenne e Djihene, le gemelline siamesi separate ieri al Bambino Gesù con un intervento chirurgico che ne ha contenuti undici tutti insieme, sono già in piedi e gridano finalmente come due bambine normali.
Nate in un paese algerino, le piccole erano unite all’altezza di torace e addome. In comune una parte di fegato, un ponte si dice, la gabbia toracica ma non il cuore. Ne avevano due avvolti in una stessa sacca, il pericardio, ed è questa bizzarra concessione della natura che ha permesso ai medici dell’ospedale romano di progettare la complicata scissione, realizzata in 10 ore di sala operatoria, la metà del tempo potenzialmente necessario, grazie anche alle tecnologie utilizzate.
Le due bimbe sono tra i tanti piccoli pazienti stranieri accolti dal nosocomio amministrato da Mariella Enoc, in linea con la vocazione di questa struttura di proprietà del Vaticano, aperta al resto del mondo. Quando le gemelle sono nate, raccontano i genitori, i medici locali le avevano date per spacciate. Loro non si sono arresi e attraverso Facebook sono venuti a sapere che forse a Roma ci sarebbe stata una speranza. Sono arrivati in Italia un anno e mezzo fa, il graduale avvicinamento al grande giorno della separazione è cominciato a metà maggio con l’espansione della pelle tramite infusioni di liquido fisiologico che hanno aumentato l’ampiezza dei lembi.
Si è occupato di questa prima fase Giancarlo Palmieri, uno dei collaboratori di Mario Zama, direttore della chirurgia plastica e maxillofacciale, ai quali è stata affidata la ricostruzione delle parti mancanti perché condivise. «Ogni volta che si accorgevano di me, intento a fare la puntura, scoppiavano Guarda sul sito del «Corriere della Sera» tutte le foto e tutti gli approfondimenti a piangere — ha raccontato Palmieri —. Credo mi ricorderanno per tutta la vita».
Poi meno di un mese fa, la grande sfida. È stato un gioco di squadra, un susseguirsi di manovre eseguite a rotazione da più equipe, come in un pit stop, col coordinamento di Alessandro Inserra. I passaggi più delicati sono stati l’inizio e la fine. Spiega non senza commozione Sergio Picardo, responsabile della rianimazione: «Non eravamo certi che l’intervento sarebbe stato possibile, dunque la parte progettuale ha richiesto diverso tempo. Non sapevamo se avrebbero respirato da sole e quando abbiamo capito che sì, stava succedendo, siamo scoppiati in un urlo di gioia, come se fossero nostre figlie».
Tanta umanità ma non solo. La tecnologia è stata fondamentale. Per comprendere come le due bambine si erano fuse nel team è stato utilizzato anche un architetto, Luca Borro, che è ricercatore in percorsi clinici e innovazione dell’ospedale. Borro ha realizzato modelli in 3D di ultima generazione per replicare gli organi delle gemelline e studiare ogni minimo dettaglio prima di arrivare in sala operatoria. Qui le piccole sono state identificate ciascuna con un colore corrispondente a quello degli operatori assegnati all’una o all’altra, suddivisi in due team distinti. Il pericolo era che si facesse confusione con gli organi.
Amina, la mamma, ha ringraziato papa Francesco: «Dio è comunque uno solo. Non esiste una questione di religione e quando si parla di umanità, non c’è differenza tra le religioni». Presto potrà tornare a casa tenendo Rayenne e Djihene per mano.