Oltre 50 morti nel naufragio Ancora accuse tra Ong e libici
I sopravvissuti: i nostri compagni erano ancora vivi quando sono stati avvistati. Non si trova lo scafista, sospetti sulla Marina di Tripoli
Non sono cinque, ma almeno 50 i morti dell’ultimo naufragio al largo delle coste siciliane. Lo svelano le testimonianze dei migranti superstiti, 59 persone arrivate a Pozzallo lunedì scorso dopo il solito viaggio della speranza pagato 400 dollari a testa ai trafficanti di esseri umani. Insieme a loro c’erano i cadaveri di tre uomini, una donna e una bambino di due anni e mezzo. Ma non erano le uniche vittime.
Secondo le indagini condotte dalla squadra mobile di Ragusa, con la partecipazione della Guardia di finanza di Pozzallo e dei Carabinieri, erano partiti in 145 dalle coste libiche su un gommone che, arrivato in acque internazionali, ha iniziato a imbarcare acqua. Dopo pochi minuti è stato avvistato da un elicottero della Marina militare, che ha dato l’allarme. A quel punto sono intervenute la Guardia costiera libica e la nave dell’Ong tedesca Sea Watch. La Guardia costiera libica avrebbe salvato una trentina di persone, l’equipaggio della nave tedesca ha raccolto i 59 superstiti approdati sulle coste siciliane e il cadavere del bambino, l’Aquarius (Sos Méditerranée) è riuscita poi a recuperare anche i corpi di altre 4 persone, ma ormai era troppo tardi per tutti gli altri: 51 migranti sarebbero morti annegati. La ong tedesca e la Guardia costiera libica si sono accusate a vicenda di non essere intervenute in tempo per i soccorsi, e sui libici aleggia anche il sospetto di aver salvato lo scafista, di cui non si hanno notizie. Il rimpallo di responsabilità non cambia comunque i fatti. Pochi minuti potevano fare la differenza per i migranti sommersi dall’acqua, che erano ancora vivi quando sono stati avvistati. E la conferma arriva dal primo esame del medico legale, disposto dalla Procura della Repubblica di Ragusa, sui cinque cadaveri arrivati sulle coste siciliane: le vittime sono morte per annegamento. Ma quei corpi erano solo la punta dell’iceberg, e sono stati i racconti dei migranti salvati, assistiti da un team di psicologi, a permettere di ricostruire l’entità della tragedia. La madre del bambino ha spiegato di essersi messa in viaggio da sola insieme al piccolo, per raggiungere il marito partito mesi prima. Ma suo figlio non ce l’ha fatta: e a lei è toccato il compito di riconoscerlo prima della sepoltura.