«Scrivere ricette è come sceneggiare una storia»
Continuiamo il dibattito sul foodwriting. Ogni venerdì pubblichiamo il contributo di autori che spiegano che cosa significa scrivere di cibo. Dopo Pollan, Hesser, Marchi, Wilson, Di Marco, Padovani, Tommasi, Attlee, Corradin, Ottaviano, Del Conte, Segrè,
P er anni il mio livre de chevet è stato «Il Talismano della Felicità», quello comprato nel 1932 dalla mia bisnonna Titta. Apprezzavo la prosa di Ada Boni ma ancor di più apprezzavo le annotazioni della Titta, perché quel suo correggere dosi e tempi, quel suo dettagliare («per questa torta è perfetto il ruoto grande che mi ha dato mammà»), mi apriva le porte della sua cucina e mi raccontava la mia famiglia. Così anche io, seguendo quell’esempio, quando racconto il cibo apro idealmente le porte della mia cucina e man mano che snocciolo la ricetta rivelo un po’ di me. Per mestiere scrivo sceneggiature
e quindi so come costruire una storia avvincente: si presentano i personaggi, si svelano le relazioni, si delinea la trama, si stabiliscono un paio di turning point e si procede al gran finale. Scrivere una ricetta è la stessa cosa. Si presentano gli ingredienti, si chiarisce perché le uova abbiano bisogno di quel tipo di zucchero, si illustrano i passaggi, si spiega come rimediare se — colpo di scena! — qualcosa andasse storto, e si accompagna il cuoco di turno con piccoli consigli sulla cottura. Se tutto è scritto con cura, scegliendo parole e aggettivi che stuzzichino l’immaginazione, la ricetta risulterà talmente ammaliante da bastare a se stessa. Che dalla lettura si passi poi ai fornelli in fondo è ab-
bastanza relativo. Ma naturalmente una ricetta deve essere soprattutto precisa. Se qualche lettore è in grado di saltare più passaggi, qualche altro ha bisogno che gli sia spiegata fino all’ultima virgola. E bisogna farlo con grazia e dolcezza, perché chi scrive di cibo scrive essenzialmente d’amore. Non è un caso che le ricette che più mi hanno commossa sono quelle scritte solo per me dalle donne della mia famiglia. O quelle che scrivo per l’uomo che amo, con dosi indicate in bicchieri e cucchiai, tempi calcolati al millisecondo e gesti calibrati sulla sua imperizia ai fornelli. Per i dummies, approdati ai miei corsi di cucina pensando che la maionese si preparasse con il latte, scrivo invece ricette che li facciano divertire come una filastrocca di Gianni Rodari, perché chi è negato a cucinare ha bisogno di ridere tanto per cimentarsi in un’impresa così ardua e rischiosa. Scrivere di cibo è faccenda talmente complessa che pochi sanno farlo davvero bene, tuttavia è cosa talmente diffusa che inevitabilmente se ne perde il valore. Eppure basterebbe sfogliare un libro di Nora Ephron, che faceva con maestria immensa il mio stesso mestiere e con la stessa maestria cucinava, e leggere qua e là le ricette che disseminava lungo i capitoli legandole indissolubilmente alla trama, per capire quanto sia nobile scrivere di cibo, e quanto sia prezioso. E quanto sia importante continuare a farlo.