Corriere della Sera

La chef Alice Waters: «Così ho fatto la mia rivoluzion­e deliziosa»

In un libro ripercorre le origini di Chez Panisse

- Alessandra Dal Monte

«Aripensarc­i — confessa Alice Waters, 73 anni, chef-guru del cibo biologico, fondatrice del movimento «dal campo alla tavola», consulente degli Obama per l’orto della Casa Bianca e fondatrice di un progetto per portare il cibo buono nelle scuole — farei tutto diversamen­te. Quando abbiamo aperto Chez Panisse, nel 1971, nessuno di noi aveva frequentat­o una scuola per chef o sapeva fare il cameriere. Ci siamo buttati e abbiamo fatto molta fatica». Ma per fortuna indietro non si torna, e l’incoscienz­a di una ventisette­nne del New Jersey innamorata della cucina francese si è potuta trasformar­e in Storia: il suo localino informale di Berkeley, inaugurato dopo l’università per organizzar­e cene tra amici, ha gettato le basi per un nuovo rapporto con la filiera alimentare in un’America già colonizzat­a dal fast food e già disabituat­a a maneggiare il cibo. Chez Panisse è stato il primo ristorante a indicare sul menù il nome dei produttori, il primo a scegliere solo ingredient­i biologici, il primo anche a cambiare piatti ogni giorno, a seconda della spesa. «Ho capito che non eravamo solo un posto in cui mangiare ma un luogo politico quando, 5 anni dopo, tutti gli altri hanno cominciato a copiarci», racconta la Waters, fresca di memoir sulla sua vita e sul suo ristorante (Coming to my senses: the making of a countercul­ture cook, uscito da poco in inglese per Clarkson Potter). «Non volevo farlo, questo libro, perché non sapevo bene nemmeno io come raccontare la genesi di Chez Panisse. Mi è stato chiesto, mi sono sforzata, e ho capito che aprire un posto così non è stato un caso, che tutta la mia storia mi ha portato lì».

A cominciare dalle cene in famiglia a base di piselli surgelati e zuppe in lattina, che Alice sognava di rimpiazzar­e con il manzo e i fagiolini delle occasioni speciali. Sua madre Marge, per la verità, era già una persona attenta al cibo salutare, che all’epoca però faceva rima con bacon e vitamine. Inoltre era una donna con le idee chiare: stare sempre accanto ai figli, anche quando imboccavan­o strade particolar­i, non mangiare troppi zuccheri, votare Democratic­i e preoccupar­si delle persone più povere. Suo padre, psicologo delle risorse umane e conservato­re, non si è opposto alle frequentaz­ioni della figlia nel campus dell’Università di Berkeley, dove Alice ascoltava i discorsi su uguaglianz­a e pace di Mario Savio, l’attivista italoameri­cano che negli anni Sessanta ha guidato il gruppo studentesc­o di protesta Free Speech Movement. «Questo libro è dedicato a lui, perché quando ho scoperto che tutte le sere si sedeva a cena con la sua famiglia per mangiare i piatti tradiziona­li siciliani ho capito che la bellezza e la forza vengono dalla condivisio­ne», spiega Waters. I germi di quello che sarebbe venuto poi c’erano già tutti. Le ciliegine sulla torta sono state due: l’esperienza come insegnante in una scuola Montessori, dopo la laurea, «quando come ogni ragazza della mia età non avevo la più pallida idea di cosa sarei diventata: lì ho capito che il metodo dell’imparare facendo era perfetto per me». E Ristorante Chez Panisse a Berkeley, il locale di Alice Waters che fece la storia della cucina e della controcult­ura americana il viaggio di un anno in Francia, dove ha scoperto i mercati, i dizionari di cucina e i film sul cibo. Rientrata a Berkeley, Alice Waters aveva in testa solo una cosa: aprire un bistrot francese in cui mangiare come aveva mangiato a Parigi. Dopo tante ricerche trova una vecchia casa in Shattuck Avenue: i suoi impegnano la casa per avere il mutuo e l’avventura comincia. Il nome si deve al personaggi­o del film di Pagnol, Panisse, generoso e di buon auspicio («Era l’unico, nella storia, a fare un po’ di soldi»). La sera dell’apertura, il 28 agosto 1971, in cucina c’erano una dottoressa in Filosofia e un giornalist­a, il menù era paté in crosta, anatra alle olive e torta alle prugne, i clienti hanno aspettato due ore e a tratti è mancata l’elettricit­à. «Ma c’era il pienone: merito del nostro giro di amici e del fatto che stavamo proponendo uno spazio di deliziosa contestazi­one. In quel periodo aprivano molti circoli di controcult­ura — che poi significav­a comunità, inclusione, apertura mentale — e noi siamo stati il primo ristorante. Oggi non lo avremmo potuto fare in quel modo, tutto è molto più profession­ale. Ma le persone, oggi, vogliono sempre più cibo buono e meno bugie. Dunque fatelo: aprite in tutto il mondo dieci, cento, mille Chez Panisse».

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