Creval e la partita degli Npl Le mosse delle ex popolari
Per i soci del Piccolo Credito Valtellinese la caduta sembra senza fine. Anche ieri, mentre il settore bancario incassava in Borsa un rimbalzo spinto un po’ dalle parole di Danièle Nouy e un po’ da cause tecniche dopo i rovesci della vigilia, i 150 mila soci della ex popolare contabilizzavano la terza seduta negativa di seguito: quasi 130 milioni di capitalizzazione bruciati da martedì. Chiusura in calo dell’1,33 per cento a 1,776 euro, dopo un massimo a 1,90. Al di sopra del minimo registrato mercoledì a 1,75 euro, ma troppo poco per far pensare che il peggio sia stato messo alle spalle. E tutto questo mentre i dirimpettai di valle, i soci della Popolare di Sondrio, sventolavano utili per 112 milioni nei primi nove mesi dell’anno, in crescita del 6,74 per cento rispetto al 2016.
I crediti facili, concessi a piene mani in passato, sono l’odierna cifra distintiva della maggioranza delle banche di origine popolare. Richiedono urgenza di trattamento a Sondrio come a Milano, a Verona come a Modena. Bper e Banco Bpm stanno predisponendo una colossale cessione di crediti deteriorati. Operazioni di vendita che anche il Creval ha deciso di intraprendere, prospettando l’alienazione di un pacchetto da 1,6 miliardi. Il pressoché totale allineamento del piano industriale che condurrà la banca al 2020 al dettato della Bce non è bastato per convincere gli operatori della svolta imposta dal direttore generale Mauro Selvetti. La banca in passato è cresciuta molto, talvolta in maniera disordinata e ha smesso da tempo di essere una popolare regionale, coltivando interessi in varie parti d’Italia, fino alla Sicilia. Orizzonti inimmaginabili quel 12 luglio del 1908 quando venne fondata a Sondrio: allora il territorio di riferimento era solo la Valtellina. Così oggi che il Creval vale in Borsa meno di 200 milioni, spaventa chiedere ai soci 700 milioni di euro, tre volte e mezzo il valore attuale.
La stretta europea sugli istituti di credito sta cambiando il modo di operare. Le banche italiane sono, per storia e tipicità, tra le più penalizzate. La cornice di riferimento futuro prevede poi una drastica contrazione del lending, dei prestiti. Le aziende dovranno finanziarsi altrove, le banche cercare ricavi dall’offerta di servizi diversi, che impegnino poco capitale di garanzia. Davvero troppo, in così breve tempo.