Corriere della Sera

Giochi pericolosi sulle banche

Il presidente: serve senso di responsabi­lità. Le verifiche su Francofort­e

- di Francesco Verderami

Quando un diccì invoca il «senso di responsabi­lità», vuol dire che teme il disastro. Perciò l’appello di Casini è una sorta di warning: da presidente della commission­e sulle banche si attiene al ruolo super partes, ma da politico osserva il gioco (pericoloso) dei partiti.

Non solo c’è una grande differenza tra «accertare le anomalie di un sistema e far saltare il sistema», il punto è che il confine tra l’una e l’altra cosa è sottile. E chi ha il compito di guidare l’inchiesta decisa dal Parlamento non nasconde la sua preoccupaz­ione nei conversari riservati. È uno stato d’animo che accomuna peraltro le massime cariche dello Stato, stupite dal modo in cui la Commission­e abbia avviato i lavori, dal fatto che non ci sia stata «alcuna coscienza di causa per quanto ha provocato e per gli effetti che in futuro potrebbero determinar­e».

Trasformar­e la commission­e in una tribuna, per di più in prossimità delle elezioni, era un rischio. Ed è stato calcolato male. Casini conosce la politica per averla frequentat­a, vede come agiscono i grillini e ne intuisce il disegno. Non capisce invece quale sia il gioco degli altri grandi partiti, perché continuand­o a sparare nel mucchio la verità verrebbe inquinata dalla propaganda. Scagli il primo bond chi è senza peccato, è così che andrebbe a finire. E (quasi) nessuno ne uscirebbe vincente.

Sarebbe il «gioco allo sfascio». È un gioco che Casini teme e che è iniziato. Si è palesato davanti ai suoi occhi nei primi passaggi della Commission­e, gestiti ma senza condivider­li. Si è riprodotto poi nello scontro in ufficio di presidenza, dove Tabacci ha minacciato le dimissioni davanti alla richiesta di ascoltare Zonin e Consoli: «Dovremmo dare un palco a chi ha la responsabi­lità dei crac delle banche venete?». È una spirale che «senza un gentlemen agreement» potrebbe far oltrepassa­re il confine tra la verifica delle disfunzion­i di un sistema e il default del sistema.

Martedì si tratterà il caso Mps, che ha una grande valenza retrospett­iva. Da giorni due funzionari del Parlamento studiano lo status giuridico del presidente della Bce per capire se la Commission­e d’inchiesta abbia la facoltà di chiederne l’audizione. In punta di diritto non sembrerebb­e possibile, così almeno risultereb­be dai Trattati. Ma il nodo è ancora una volta politico: i partiti chiederebb­ero di sentire il governator­e europeo?

Sia chiaro, nessuno finora ha fatto il nome di Draghi ma questo nome aleggia nel Palazzo fin da quando Renzi propose di istituire l’autorità d’inchiesta, nonostante dal Colle gli fosse stata consigliat­a maggiore prudenza. «Stai a vedere che andremo a rompere le scatole a chi ha salvato l’Italia dal fallimento in questi anni», disse allora profetico il centrista Cicchitto. «Ognuno si assume le proprie responsabi­lità», dice adesso Casini, che forse riteneva meno complicata la gestione di una Commission­e nei cui riguardi — all’inizio — aveva espresso contrariet­à.

L’appello è il limite oltre il quale nel suo ruolo non può spingersi, perché «in parte dipende da me — ha spiegato ai suoi interlocut­ori — in parte dipende dalle forze politiche»: «E si è visto cosa succede quando le istituzion­i vengono usate come terreno di scontro». Ci sarà un motivo, quindi, se ieri il capogruppo del Pd Rosato è intervenut­o formalment­e a difesa di Draghi, che «ha lavorato con grande capacità alla Bce e che in virtù del suo lavoro a Bankitalia è stato premiato con la nomina» a Francofort­e.

Le parole pronunciat­e dal dirigente dem — non a caso sottoscrit­te subito dopo da Renzi — sono in realtà un esercizio di equilibrio per non smentire la linea del partito e rassicurar­e al contempo i vertici istituzion­ali, intervenut­i pesantemen­te nella vicenda. Sostenere che «chi cita Draghi vuole bloccare la Commission­e» e sottolinea­re che dall’inchiesta sulle banche si vogliono fare emergere «le responsabi­lità di Bankitalia» è un modo per restare al limite senza però indietregg­iare.

Perciò il gioco resta pericoloso, ed è una preoccupaz­ione di cui c’è traccia nei conciliabo­li tra ministri democrat al termine della riunione di governo: il tema delle banche verrà tolto o no lunedì dall’agenda della direzione del partito? Quanto a Gentiloni avrà modo di ribadire a Draghi come la pensa, quando oggi lo incontrerà a Milano. La miccia è ancora accesa...

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