America First o Sogno Cinese? È Xi il primattore
Èl’America First contro il Sogno Cinese. Donald Trump e Xi Jinping ieri sono saliti uno dopo l’altro sulla tribuna del vertice Apec come due candidati avversari, nella sfida per ridisegnare la governance mondiale. Il presidente americano ha detto chiaro, ripetendo uno slogan della sua campagna per la Casa Bianca: «Non tollereremo più cronici abusi commerciali». Una linea che fa parte di un nuovo gioco del domino geopolitico: il vertice Apec si svolge a Da Nang in Vietnam, cinquant’anni fa grande base militare americana: «Combattevamo una guerra sanguinosa qui, ora ci sono spiagge radiose e bellissime», ha cominciato Trump conciliante, perché la sponda vietnamita gli serve anche per contenere Pechino nel Mar Cinese meridionale. Ha citato uno per uno i Paesi che gli interessano nell’associazione, elogiandoli per i successi delle loro economie; ha parlato dell’India più popolosa democrazia del mondo, perché anche New Delhi fa parte del suo progetto di confronto con la Cina. Poi ha lanciato la nuova idea: «Sogno Indo-Pacifico». Applausi non scroscianti in platea. E allora Trump si è lanciato nella sua requisitoria: «Non permetteremo più che l’America sia sfruttata, d’ora in poi sarà sempre America First, come mi aspetto che ognuno di voi in questa sala metta il proprio Paese al primo posto». Ancora: «Questo è il messaggio che vi porto, faremo accordi commerciali bilaterali, non entreremo più in patti larghi che ci legano le mani e vengono violati danneggiandoci». In sala ci sono i delegati degli 11 Paesi che avevano negoziato con Barack Obama il Tpp, Trans Pacific Partnership, dal quale Trump si è ritirato subito dopo l’elezione. Il nuovo ordine mondiale dei commerci per Trump è bilaterale. Nel suo Sogno Indo-Pacifico chi gioca seguendo le regole può essere partner degli Usa, chi è sleale resterà fuori campo. Ha tirato uno schiaffo al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, accusandola di non aver trattato per troppi anni l’America equamente. «Basta barriere ingiuste, vogliamo mercati guidati dalle scelte dei privati, non dai dirigisti statali», ha quasi gridato.
Dopo i toni pacatissimi ispiratigli dall’accoglienza imperiale nella Citta Proibita di Pechino, questo è un Donald Trump alla riscossa contro il progetto di ascesa globale di Xi Jinping e già usare la parola «sogno» per l’area indo-pacifica sembra una risposta al «Sogno Cinese» del leader comunista.
È salito sulla tribuna Xi Jinping. Per parlare di un «nuovo viaggio» verso una «comunità del futuro condiviso», citando più volte globalizzazione, inclusione, multilateralismo, facendo propaganda per le nuove Vie della Seta commerciali «idea cinese offerta al mondo» che sarà lastricata di centinaia di miliardi di investimenti in infrastrutture per l’Asia. Ha chiesto una diversa governance mondiale per evitare che la ripresa sia solo ciclica. Dalla platea sono saliti applausi a ripetizione. Il leader che si propone come punto di riferimento della ri-globalizzazione ha rivendicato i successi dell’economia diretta dal Partito, il Pil cresciuto negli ultimi cinque anni al 7,2% in media, la Cina che ha contribuito alla crescita globale per il 30%. Proprio come poco prima Trump aveva detto che nel suo primo anno alla Casa Bianca la disoccupazione è scesa al minimo e la Borsa è al massimo. Una sfida tra candidati, entrambi ispirati da una buona dose di populismo.