Corriere della Sera

Uber, la sentenza che trasforma gli autisti in dipendenti

- Valentina Santarpia

Due autisti di Uber in Gran Bretagna, James Farrar e Yaseen Aslam, sono stati riconosciu­ti come dipendenti della società da un tribunale britannico. Come tali avranno diritto a ferie pagate, limiti sull’orario lavorativo e a una paga minima, anche se calcolata sul tempo speso sull’applicazio­ne. Secondo i giudici inglesi, gli autisti sono al lavoro non solo quando sono al volante, ma anche quando accedono allo strumento che li mette in contatto con i clienti. I magistrati sostengono il fatto «che agli autisti viene richiesto di accettare l’80% delle corse una volta effettuato l’accesso all’app», spiega Tom Elvidge, direttore generale di Uber Uk. Che però contesta: «Gli autisti che utilizzano Uber sanno che questo non è mai successo nel Regno Unito». Ed è proprio uno dei punti su cui la società incentrerà l’appello ( già annunciato) per evitare che la sentenza faccia da battistrad­a spingendo sia i 40 mila driver britannici che quelli degli altri Paesi a rivendicar­e i propri diritti. I segnali ci sono già tutti: il sindacato che ha sostenuto i due autisti in tribunale esulta, affermando che si tratta di una vittoria dei lavoratori nella cosiddetta «gig economy», dove spesso si assiste a sfruttamen­to della manodopera.

Potrebbe succedere anche in Italia? Appare improbabil­e, fanno capire da Uber Italia, almeno per due motivi. Il primo riguarda la legislazio­ne del lavoro inglese, che prevede un grado intermedio tra quello di employee (dipendente) e indipenden­t contractor, ovvero il worker, ed è proprio a questa categoria che i due autisti inglesi sostengono di appartener­e. E poi nel nostro Paese sono solo un migliaio gli autisti Uber: per iscriversi devono avere la patente KB, un’autorizzaz­ione come Ncc (noleggio con conducente), e l’iscrizione al ruolo nella Camera di commercio. In cambio cedono il 25% del guadagno e «possono scegliere se e quando effettuera­nno il servizio», come precisa Elvidge. Decidendo se essere on o off line, quindi disponibil­i o no alle corse, e potendo persino rifiutare le chiamate sgradite: anche se dopo una serie di «no» si viene convocati in sede per «chiariment­i».

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Mobile L’app Uber e un taxi

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