Corriere della Sera

Quei giovani che uccidono per gioco, sfida o noia

Il pm al processo di Tortona: segnale di un nulla profondo

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Non c’è un guadagno, non c’è odio, non c’è rabbia né vendetta. C’è solo il brivido del gioco, del tiro al bersaglio, di una follia da roulette russa. «Per riempire un’esistenza vuota», vibrano ancora le parole dei giudici della Corte d’Assise di Alessandri­a che condannaro­no a più di 18 anni i fratelli Paolo, Sandro e Franco Furlan e il loro cugino Paolo Bertocco in quello che per l’Italia è il processo monstre dei lanciatori di sassi. «Il segnale di un nulla profondo che atterrisce», concluse il pm Maurizio Laudi. Era il 27 dicembre del 1996 quando Maria Letizia Berdini, giovane sposa di Civitanova Marche, fu uccisa da un masso lanciato dal cavalcavia della Cavallosa mentre viaggiava con suo marito sull’autostrada Torino-Piacenza. «Vent’anni non sono serviti a nulla, come non è servita a nulla la morte di Letizia», dice oggi sconsolata la sorella Maria Rosa che ricorda come «la cosa che più mi fa male è sapere che i colpevoli sono tutti fuori. Servono pene più severe per gli assassini». Erano giovani fra i 18 e i 25 anni, un muratore, un musicista, lavoretti saltuari e «serate fatte di nulla, riempite da un gioco criminale prima di cena», disse il pm Laudi parlando di loro.

«Bingo!», esultavano dal cavalcavia quando il bersaglio veniva centrato. Oggi sono padri di famiglia e di quel tempo non vogliono più dire alcunché. «Hanno scelto tutti la via del silenzio e dell’oblio», spiega l’avvocata Patrizia Tuis, che all’epoca difendeva l’unico fratello assolto, Gabriele, il grande accusatore. Usciti dal carcere nel 2009, si sono riappacifi­cati, decidendo di cancellare dalle loro menti i tragici fatti della Cavallosa. Da allora, sono state centinaia le vittime dei «lanciatori». La maggior parte ferite, in nove casi decedute.

La contabilit­à nera parte dal 1986, quando venne colpita la piccola Maria Jlenia Landriani, due mesi e mezzo di vita, mentre dormiva in braccio alla mamma. L’Osservator­io di Asaps, il portale della sicurezza stradale, solo nel 2017 ha registrato 63 episodi di lanci di sassi contro veicoli: sette avvenuti sulla rete autostrada­le o raccordi, 56 sulle statali e altre strade. Le cronache parlano di lapidatori da strada, di sabotaggio della libera circolazio­ne, di attentato alla sicurezza

La sorella di Maria Letizia Berdini Vent’anni non sono serviti a nulla, e non è servita a nulla la morte di Letizia. La cosa che fa più male è sapere che i colpevoli sono tutti fuori In Aula al processo per Monica Zanotti Erano tutti ventenni Tiravano sassi per non sentirsi inferiori rispetto agli altri del gruppo La ragazza era a terra e li hanno sentiti che ridevano

dei trasporti. Le varie sentenze tracciano in qualche modo il profilo del lanciatore. Giovane, giovanissi­mo, quasi sempre in compagnia, spesso annoiato. L’arma è il braccio, le pallottole sono sassi, massi, cartelli stradali, palle da bowling, addirittur­a gatti. «Erano tutti di una bassa fascia sociale e culturale, ragazzi poveri di strumenti culturali», ricorda Tuis.

«Tiravano sassi per non sentirsi inferiori rispetto agli altri del gruppo», disse il presidente della Corte d’Assise Mario Sannite che giudicò i ragazzi veronesi di Bussolengo, responsabi­li dei fatti del 29 dicembre 1993. Quella notte, dopo aver colpito il furgone di un camionista di Cuneo e l’auto di tre amici di Pisa, decisero di esagerare lanciando un masso di 14 chili su una Renault che passava lì sotto. La sfondarono e Monica Zanotti morì accanto al suo fidanzato. «Sentivo che ridevano», dirà un camionista che tentò invano di rianimare la giovane vittima. Erano tutti ventenni e avevano un capo. «Pavidi», urlava agli altri, come testimonie­ranno i complici finiti a processo.

Ma fu la tragedia di Maria Letizia a imprimere al fenomeno un’accelerazi­one. Il clamore suscitato dalla vicenda dei giovani di Tortona provocò una psicosi collettiva fra gli automobili­sti, alimentata da una moltiplica­zione di episodi criminali. Nei mesi successivi furono centinaia le auto danneggiat­e dagli emuli della Cavallosa. Fortunatam­ente furono solo feriti. Almeno fino al 2002, quando il sangue tornò a scorrere e accadde al Sud. Una quarantott­enne di Afragola, Rosa Miscioscia, venne colpita da un oggetto metallico caduto da un cavalcavia lungo l’autostrada Roma-Napoli e non si rialzò più. Tre anni dopo, sempre sull’A1, nei pressi di Cassino, un macigno di 40 chili costerà la vita a Natale Giuffré. Per lui, per Monica, per la piccola Maria Jlenia i dossier si sono chiusi alla voce ignoti.

In Tribunale Un magistrato ricordò quelli che urlavano «Bingo!» quando centravano il bersaglio

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