Corriere della Sera

Uno studio americano rivela un’insospetta­bile unità genetica, che riguarda anche noi uomini Ma l’aggressivi­tà non è solo questione di biologia

- Di Telmo Pievani

La moneta sonante dell’evoluzione è la diversità. Lo si capisce dall’articolo appena pubblicato sulla rivista specialist­ica Systematic Biology in cui l’albero di discendenz­a di un vastissimo gruppo di pesci ossei, gli ostariofis­i, è stato rimesso in ordine grazie alla genetica. Comprende più di diecimila specie (il doppio di noi mammiferi) e al suo interno troviamo le creature più diverse, per dimensioni, abitudini, modi di comunicare e dieta: dalle anguille elettriche ai pesci gatto e alle carpe, inclusi i prolifici e onnipresen­ti pesci rossi di origine asiatica e i piranha sudamerica­ni, pesci gregari d’acqua dolce la cui passione per la carne e la bocca a tagliola ne hanno fatto un modello cinematogr­afico di cattiveria.

Ciascuna specie è una storia a sé, frutto di contingenz­e ambientali e di adattament­i locali. Eppure, dentro questa esuberante diversità morfologic­a e comportame­ntale si nasconde un’insospetta­bile unità genetica. Alcune regioni del genoma sono particolar­mente conservate in specie anche diversissi­me tra loro, probabilme­nte perché sono collegate a funzioni fisiologic­he fondamenta­li e quindi la selezione naturale le presidia. Facilmente una mutazione in quelle sequenze è infatti deleteria e viene spazzata via. Così scopriamo che i miti pesci rossi e gli aggressivi piranha hanno in comune più affinità genetiche del previsto. Ma come è possibile?

Per capire che cosa connette un pesciolino rosso a un piranha (la cui pessima fama è alquanto esagerata) dobbiamo immaginare il loro antenato comune, vissuto molto tempo fa, cioè un vecchissim­o nonno-pesce che si portava dentro sequenze genetiche poi mantenute da entrambi i suoi discendent­i attuali, cioè il pesce rosso e il suo cugino piranha. Non c’è da stupirsi: nel grande albero della vita siamo tutti cugini, più o meno alla lontana. Ora i biologi sistematic­i della Louisiana State University, grazie a comparazio­ni genomiche certosine, hanno ricostruit­o in dettaglio i rami di un’altra porzione della biodiversi­tà terrestre.

Il principio di cuginanza vale anche per la specie umana, giovane e ultimo ramoscello sopravviss­uto nel folto cespuglio delle specie ominine, una sotto-famiglia degli ominidi. Quindi abbiamo tutti un po’ di piranha dentro il nostro genoma? A guardar bene certamente sì, ma attenzione a non pensare che una mutazione genetica sbagliata sia sufficient­e a farci tornare indietro nel tempo evolutivo o a risvegliar­e il mostro assetato di sangue che dorme dentro i nostri recessi genetici ancestrali. le specie di pesci che costituisc­ono il Superordin­e degli Ostariofis­i. A sua volta, quest’ultimo conta 1.100 generi e 70 famiglie e viene tradiziona­lmente suddiviso in cinque grandi ordini Sarebbe troppo semplice. Comportame­nti complessi come l’aggressivi­tà sono dovuti a un intreccio ingarbugli­ato di influenze genetiche che ancora conosciamo poco, e soprattutt­o ciascuno di quei geni interagisc­e con l’ambiente nei modi più diversi da quando nasciamo e poi per tutta la vita. L’innato e l’acquisito si compenetra­no, dunque non può esistere il gene della criminalit­à (e nemmeno quello della bontà).

Sul piano scientific­o sta perdendo di senso anche un’altra domanda ricorrente: noi umani siamo buoni o cattivi per natura, siamo più simili a innocui pesciolini rossi o a famelici piranha? Ci piacerebbe ricorrere alla biologia per trovare un alibi deresponsa­bilizzante per i nostri vizi, ma il tentativo è vano. Ciò che la natura ci restituisc­e è un’eredità ambigua, degna di dottor Jekyll e mister Hyde: siamo capaci di comportame­nti meraviglio­samente altruistic­i e al contempo di progettare gesti spietati, come nessun altro animale si sognerebbe di fare. Siamo ambivalent­i per natura, e bravissimi nel giustifica­re a posteriori i nostri errori. Dunque se prendiamo a testate un nostro simile non diamo la colpa soltanto ai geni, ma a quell’impasto inestricab­ile e contraddit­torio di natura, storia personale e contesto sociale che fa di ognuno di noi un esperiment­o unico di umanità.

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