Il mondo «aereo» di Albini All’asta gli arredi di villa Neuffer
Quattordici pezzi essenziali. Con la perfezione artigianale
Villa Neuffer, a Ispra, sulla costa occidentale del Lago Maggiore, si apre al sole con la lievità che le atmosfere lacustri conferiscono ad aria, pietre e fronde. La villa, o meglio la «casa» — secondo quanto Gio Ponti scrisse in «Stile» (1943) —, un esempio di architettura tardo-ottocentesca convertita al contemporaneo da Franco Albini tra il ’39 e il ’40, oggi torna agli echi di cronaca grazie all’asta «Fine Design» che Cambi presenta il 22 novembre nella sede di Milano, a Palazzo Serbelloni, in concomitanza con il quarantennale della morte di Albini.
Sono quattordici arredi provenienti dalla villa e disegnati dal maestro ad aprire la giornata di vendita: tavoli in legno e vetro, una chaise-longue in legno, tessuto e corda, un paio di scrivanie con cassettiere, una toeletta con specchio basculante, sedie, letti, lampade, una scala da libreria, tutti esemplificazione dall’essenzialità che Albini perseguiva in ogni sua opera, ma anche testimonianza della perfezione artigiana e della cura del dettaglio da lui esplicati. Lo stile degli arredi all’asta trova riscontri nel progetto degli interni per i quali furono creati. Chi meglio di Albini avrebbe potuto lavorare al progetto della villa sul lago? Aveva familiarità con ciò che appartiene al microcosmo degli specchi d’acqua d’area prealpina — era nato nel Lecchese, a Robbiate, sull’Adda —, ed era un appassionato navigatore: iconica la libreria Veliero (1940), giocata su funi e tiranti come un’imbarcazione. Inoltre, erede del neo-classicismo novecentista grazie all’apprendistato presso lo studio PontiLancia, ma proiettato verso l’avanguardia europea dopo l’incontro con Persico (1931), l’architetto, forte già di importanti incarichi e partecipazioni a concorsi, trovò qui modo di sperimentarsi, con il consueto approccio etico, in una realtà abitativa di tradizione borghese in cui poteva dimostrare la sua capacità di mediare passato e futuro.
Albini da sempre tendeva al minimo strutturale. La soluzione della scala a elica, che nella villa attraversa l’ingresso a doppia altezza, smaterializzandolo, divenne manifesto d’intenti, analogamente ad altre scale che avrebbe realizzato in seguito: in primis, quella del ’54 per Caterina Marcenaro a Palazzo Rosso, a Genova. Aerea, sospesa mediante tondini d’acciaio, con il suo corrimano rosso che fende il vuoto, la scala di Ispra diventò fulcro spaziale in grado di aggregare presenze difformi. Intorno a essa la pietra della tradizione locale dialoga con eccellenze artigiane italiane — piastrelle in maiolica di Salerno, ceramiche di Vietri, pavimenti in seminato veneziano —, ma anche con gli arredi razionalisti, pur memori di storie di sapienza manuale: ne sono prova in asta i letti a chiasmo, omaggio ai cavalletti delle falegnamerie brianzole che hanno permesso la trasmissione di patrimoni ancora vitali.