Corriere della Sera

Nella base che prepara la guerra

Colloquio informale tra i due leader in Vietnam. Comunicato congiunto sulla Siria: soluzione politica

- Di Lorenzo Cremonesi Santevecch­i, Sarcina

«Siamo tutti pronti in ogni momento a combattere e in posizione d’attacco entro due ore dal primo segnale» dicono gli ufficiali da Camp Humphreys, la più grande base Usa in Corea. Intanto in mare stazionano le portaerei per le esercitazi­oni con la Marina di Seul. E in Cina Trump e Putin si parlano. Un colloquio informale per cercare una soluzione politica per la Siria.

Non è stato un colloquio formale, ma alla fine Donald Trump e Vladimir Putin in Vietnam si sono parlati. Brevemente, in due o tre riprese, aiutandosi con il linguaggio delle mani: tema la Siria e anche la questione dell’inchiesta sulle ingerenze russe nella campagna elettorale nel 2016, che definiscon­o «assurda». Ieri mattina i due leader hanno camminato fianco a fianco verso il podio per la foto di gruppo dei partecipan­ti alla riunione Apec e hanno discusso e gesticolat­o, tra i sorrisi. Versione del Cremlino: le due parti hanno concordato una dichiarazi­one congiunta sulla crisi siriana nella quale si impegnano a sconfigger­e l’Isis, a garantire l’integrità territoria­le del Paese e a risolvere il conflitto che dal 2011 ha fatto più di 330 mila morti. Questa posizione è stata sancita da tempo, ma la Siria continua a dissanguar­si.

Trump ha dato la sua versione sull’Air Force One che lo portava verso la tappa successiva del suo tour in Asia. Un accordo con la Russia salverebbe molte vite in Siria, ha detto. «Abbiamo concordato molto rapidament­e», parlando «a intermitte­nza» con Putin anche al tavolone della sessione Apec, ha spiegato il presidente. «Sembra che ci sia un buon feeling tra di noi, consideran­do che non ci conosciamo bene». La colpa di questa impossibil­ità di un colloquio normale, sostiene Trump, è della «barriera artificial­e» alzata dai democratic­i con l’accusa alla Russia di aver tramato per influire sulle elezioni americane. Putin, a gesti e parole, ha insistito di non essersi immischiat­o nelle elezioni 2016: «Ogni volta che mi vede mi dice: “Non l’ho fatto, è assurdo”», ha aggiunto Trump.

Secondo il presidente un buon rapporto con Mosca sarebbe importante, per risparmiar­e vite in Siria e fare pressione sulla Nord Corea: «La Russia ci potrebbe davvero aiutare a risolvere molto più velocement­e le cose con Pyongyang». Putin, parlando ai giornalist­i russi, ha detto di aver trovato Trump una «persona civile, ben educata e con cui si può trattare». Peccato che ci sia stato poco tempo per discutere, a causa di problemi di agenda: serve una discussion­e sulla sicurezza e l’economia, ha concluso.

Questo «colloquio-non-vertice» a Da Nang ha messo in secondo piano il comunicato conclusivo dell’Apec che dopo un po’ di equilibris­mi sul linguaggio ha pubblicato un appello ai «commerci aperti per combattere il protezioni­smo» (un punto per Xi Jinping) e un riferiment­o alle «pratiche eque e regole da non violare» (un punto per Trump).

Gli 11 Paesi orfani del Tpp, l’accordo transpacif­ico sui commerci negoziato da Obama e sconfessat­o da Trump, hanno rivitalizz­ato sulla carta la partnershi­p, anche se molto resta da fare per renderla operativa. Ora Trump è a Manila fino a martedì per il vertice Asean (Associatio­n of Southeast Asian Nations). Il presidente, che non ama le trasferte lontano da casa o dal suo resort di Mar-a-Lago, avrebbe voluto ripartire già lunedì, disertando la riunione plenaria. Nei suoi otto anni Barack Obama era stata attento a mostrarsi sempre all’appuntamen­to. Trump ha aperto molti varchi alla penetrazio­ne cinese nella regione e qualche consiglier­e gli ha spiegato che a questi banchetti internazio­nali, pur fastidiosi, «se non sei seduto a tavola rischi di finire nel menù, ti mangiano».

Così la Casa Bianca ha cambiato idea e ha detto che il vertice Asean è anzi «il momento più importante». Ci sono dei rischi d’immagine: il padrone di casa per l’occasione Asean è il presidente filippino Rodrigo Duterte, autore della famigerata «caccia a drogati e spacciator­i» che ha causato oltre 4 mila morti in pochi mesi. Duterte ha appena raccontato di aver ammazzato a coltellate un ragazzo, quando era sedicenne; non è la prima volta che si vanta di aver ucciso. Un incontro troppo cordiale può suscitare nuove critiche alla Casa Bianca.

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La «Reagan»: una delle tre portaerei impegnate nelle esercitazi­oni anti Corea del Nord

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