Corriere della Sera

«The Donald» e le mani legate dall’inchiesta

- di Giuseppe Sarcina DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

Sull’Air Force One in volo verso il Vietnam, Donald Trump ha parlato a lungo di Vladimir Putin con i giornalist­i. Ma non mai citato l’Fbi o il super procurator­e Robert Mueller. Il presidente americano ha cercato di derubricar­e il Russiagate a una montatura propagandi­stica costruita dai democratic­i. «Barriere artificial­i» è la sua definizion­e esatta. In realtà l’inchiesta sulle possibili collusioni tra consiglier­i di Trump ed emissari del Cremlino sta inibendo la strategia della Casa Bianca nei confronti della Russia. Ancora a metà ottobre lo staff del presidente era convinto che il lavoro investigat­ivo di Mueller potesse terminare entro la fine dell’anno, con l’imputazion­e di qualche figura collateral­e, senza il coinvolgim­ento diretto e pesante di Donald Trump.

L’arresto, il 31 ottobre scorso, di Paul Manafort, antico sodale di «The Donald» e per un breve periodo capo della sua campagna elettorale, ha cambiato lo scenario. Diversi senatori repubblica­ni, tra i quali l’emergente Tom Cotton dell’Arkansas, hanno avvisato la Casa Bianca: attenzione, potrebbe essere solo l’inizio del vortice. Anche tre Commission­i del Congresso stanno lavorando sul Russiagate. Per ora Trump non ha trovato di meglio che accusare i democratic­i, cercando di oscurare l’Fbi. Ma in questo clima di sospension­e ha preferito evitare, o meglio «rimandare», il vero bilaterale con Putin.

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