«The Donald» e le mani legate dall’inchiesta
Sull’Air Force One in volo verso il Vietnam, Donald Trump ha parlato a lungo di Vladimir Putin con i giornalisti. Ma non mai citato l’Fbi o il super procuratore Robert Mueller. Il presidente americano ha cercato di derubricare il Russiagate a una montatura propagandistica costruita dai democratici. «Barriere artificiali» è la sua definizione esatta. In realtà l’inchiesta sulle possibili collusioni tra consiglieri di Trump ed emissari del Cremlino sta inibendo la strategia della Casa Bianca nei confronti della Russia. Ancora a metà ottobre lo staff del presidente era convinto che il lavoro investigativo di Mueller potesse terminare entro la fine dell’anno, con l’imputazione di qualche figura collaterale, senza il coinvolgimento diretto e pesante di Donald Trump.
L’arresto, il 31 ottobre scorso, di Paul Manafort, antico sodale di «The Donald» e per un breve periodo capo della sua campagna elettorale, ha cambiato lo scenario. Diversi senatori repubblicani, tra i quali l’emergente Tom Cotton dell’Arkansas, hanno avvisato la Casa Bianca: attenzione, potrebbe essere solo l’inizio del vortice. Anche tre Commissioni del Congresso stanno lavorando sul Russiagate. Per ora Trump non ha trovato di meglio che accusare i democratici, cercando di oscurare l’Fbi. Ma in questo clima di sospensione ha preferito evitare, o meglio «rimandare», il vero bilaterale con Putin.