«È convinto di essere Kissinger Intanto la Russia sparge caos e la Cina lavora per l’egemonia»
Ian Bremmer, politologo e fondatore di Eurasia Group, è appena tornato dal Vietnam, dove ha seguito il vertice dei Paesi Apec (Asia-Pacific economic cooperation) e il breve incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin. «Il presidente americano vuole fare come Henry Kissinger, ma è un Kissinger senza strategia».
Trump sostiene che la Russia è fondamentale per risolvere la crisi con la Corea del Nord. È così?
«Non mi pare. La Russia è un Paese che sta seriamente perdendo rilievo. E Putin pensa di poter recuperare favorendo l’instabilità, il caos nel mondo, specialmente negli Stati Uniti. Ecco perché, per esempio, cerca di interferire nelle elezioni americane e degli altri Stati occidentali. Ed ecco perché non si vede tutto questo attivismo russo per contenere la Corea del Nord. Anzi Putin è molto più interessato ad aiutare i nordcoreani ad alimentare tensioni a livello globale. Da questo punto di vista c’è una grande differenza con il presidente cinese Xi Jinping che vuole esattamente il contrario: stabilità e status quo. Per un motivo molto semplice: vede che gli equilibri internazionali si stanno spostando a favore della Cina, senza bisogno di forzare».
Il Russiagate frena i piani di Trump?
«Trump continua a prendersela con i media, con il Congresso, con l’Fbi, con tutti insomma, tranne che con Putin. In Asia, esattamente come al G20 in Germania a luglio, ha dato credito alle smentite del presidente russo. Trump continua a pensare che sia possibile stabilire una relazione positiva con Putin. Ma è difficile che possa accadere. Ci sono troppe incognite e troppi vincoli: le indagini sui legami tra lo staff di Trump e il Cremlino, le sanzioni economiche in vigore».
La Cina?
«Tutti i leader degli altri Paesi asiatici con cui ho parlato sono molto preoccupati. L’“America First” di Trump sta legittimando il “China First” di Xi Jinping. Il problema è che i cinesi stanno perseguendo un disegno di egemonia nel Pacifico, spacciandolo per la difesa legittima degli interessi nazionali. Trump rifiuta il multilateralismo, dice di volere accordi solo bilaterali. Questo implica indebolire tutta l’impalcatura giuridica ed economica costruita negli anni dagli Stati Uniti, a cominciare dall’Organizzazione mondiale per il commercio. Uno scenario che piace ai cinesi, che non vogliono sentirsi vincolati dalle regole e dagli standard internazionali. In definitiva la ritirata di Trump, dicono quei leader, è il miglior regalo che Washington potesse fare a Pechino».
Le aperture di Trump verso la Cina, dunque, non porteranno risultati per gli Stati Uniti?
«Trump cerca di muoversi come se fosse Henry Kissinger. Vuole aprire agli avversari politici, dialogare con loro, puntando molto anche sul rapporto personale. Ma Kissinger una strategia di fondo ce l’aveva. Qui la strategia non si vede. E le relazioni tra Stati Uniti e Cina sono destinate a peggiorare, nonostante il calore degli incontri tra Trump e Xi Jinping».