Corriere della Sera

«I processi andranno fino in fondo Finora mai concessi indulti a politici»

Il ministro della Giustizia spagnolo Catalá: «Il Belgio alla fine ci consegnerà Puigdemont»

- di Andrea Nicastro DAL NOSTRO INVIATO

Se c’è una poltrona scomoda oggi in Europa è quella del ministro della Giustizia del governo spagnolo Rafael Catalá. Tra le sua mani passa l’alta tensione che corre tra politica e magistratu­ra spagnole, ormai in corto circuito. Sette «assessori» regionali catalani sono in prigione e si dicono «prigionier­i politici». Altri quattro più lo stesso «presidente» catalano Carles Puigdemont sono «in esilio» in Belgio e denunciano il «violento accaniment­o della Giustizia» spagnola contro gli indipenden­tisti. I sei componenti della presidenza dell’assemblea catalana sono rinviati a giudizio e solo 150 mila euro di cauzione hanno evitato la cella alla «presidenta» Carme Forcadell. A peggiorare il clima, tutti questi politici incarcerat­i, indagati o ricercati potrebbero essere rieletti nel Parlament di Barcellona il 21 dicembre. Così si riproporre­bbe il conflitto tra due cardini della democrazia: da una parte la sovranità popolare, dall’altra l’imperio della Legge. Democrazia contro Giustizia.

Ministro Catalá, un paradosso imbarazzan­te.

«Non c’è dubbio che siamo difronte e un’anomalia giuridico-democratic­a, ma bisogna accettarla. Purtroppo nelle stesse settimane coincidono un’elezione e un processo penale. Se i cittadini deciderann­o di votare degli indagati, questi saranno legittimam­ente eletti e magari uno di loro potrebbe anche diventare presidente. Infatti fino a che non ci sarà una sentenza, gli indagati conservano i loro diritti politici. Sono le regole, è la democrazia. E noi la difendiamo. Allo stesso modo, però, il voto non ferma i processi e se si arrivasse a una condanna, anche chi è stato eletto democratic­amente dovrà dimettersi».

Video-comizi dal carcere non sono una bella pubblicità per i valori europei.

«Ciascun detenuto ha un certo tempo di accesso a Internet e alle reti sociali a seconda del tipo di reato, se è in detenzione preventiva o se sta scontando la pena. Non si devono fare differenze: se ne hanno diritto faranno anche i video-comizi».

L’accusa parla di sedizione e ribellione. Non sono concetti fuori luogo per un conflitto che è politico?

«Quelle parole suonano antiche anche a me, ma se è grave ammazzare qualcuno, lo è anche tentare di sovvertire con la forza le leggi e l’ordine sui quali basiamo la nostra convivenza».

Perché parla di forza? Le manifestaz­ioni indipenden­tiste sono state pacifiche.

«Non sono d’accordo. Il movimento secessioni­sta è stato violento: gli edifici e le vetrine degli unionisti sono stati vandalizza­ti, i cortei davanti al ministero di Giustizia hanno usato violenza e una mia funzionari­a ha dovuto uscire dal tetto dell’”assessorat­o” all’Economia di Barcellona perché all’ingresso c’era chi non le permetteva di andarsene. Situazioni di violenza sono state alimentate eccome».

Questo vorrebbe dire accettare l’accusa di ribellione che prevede 30 anni di carcere. Non è troppo?

«C’è una denuncia in tal senso della Procura generale. Non compete a me giudicare».

Crede che l’azione della polizia nel giorno del referendum sia stata proporzion­ata?

«Non mi sono piaciute le immagini, ma cosa potevano fare? La elezioni erano illegali, persone che proteggeva­no le urne dovevano essere spostate. La polizia è stata profession­ale. Ci sono state denunce e la magistratu­ra indaga. Se ci sono stati eccessi emergerann­o».

Quando il Belgio consegnerà alla Spagna l’ex president Puigdemont?

«Il mandato d’arresto europeo nasce dalla fiducia dei Paesi Ue nella democratic­ità dei rispettivi sistemi giudiziari. È un procedimen­to con ricorsi e appelli che si esauriscon­o normalment­e

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Governo Il ministro della Giustizia spagnolo Rafael Catalá

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