Corriere della Sera

Gli oggetti che ci spiano in casa

- LA TV INTELLIGEN­TE di Massimo Sideri LA BAMBOLA IL SEGGIOLINO CON SENSORI

La smart tivù Samsung permette il riconoscim­ento vocale: alcuni comandi vocali possono essere trasmessi a un servizio di conversion­e da voce a testo fornito da terze parti

Il problema è la pigrizia. La nostra: chi ha la pazienza di leggere le cosiddette privacy policy dei prodotti che ci mettiamo in casa? Non lo facciamo. Ma dovremmo. Ce ne pentiremo in futuro? Forse, probabile. Il risultato è che gli oggetti ci spiano. Ma non come faceva l’occhio del Grande fratello di orwelliana memoria: peggio. Ci mappano l’appartamen­to mettendo il risultato nel cloud, cioè le nuvole di dati sulla Rete. Ci riconoscon­o. Ci registrano, ci ascoltano, ci studiano.

Piccoli fratelli

Siamo sotto gli occhi (e le orecchie) di tanti Piccoli fratelli a cui diamo le chiavi di casa. Come la famosa bambola Cayla che le autorità tedesche avevano vietato lo scorso anno perché era facilmente hackerabil­e e poteva essere usata per spiare i nostri figli. Le authority avevano esagerato? Se qualcuno si era posto la domanda ecco la risposta: no. E viene ora dal Garante della Privacy che ha messo sotto esame alcune categorie di prodotti già acquistabi­li in Italia, dunque in circolazio­ne, che sono da considerar­si potenziali cavalli di Troia con cui i malintenzi­onati possono facilmente acquisire informazio­ni vitali sulla nostra quotidiani­tà.

Parliamo di giocattoli: a partire da Cayla — alla quale si è interessat­o anche il Garante per la privacy Antonello Soro (con l’ecommerce la reperibili­tà di questi oggetti è internazio­nale) — ci sono una serie di prodotti poco innocenti con cui degli esterni possono entrare in contatto con i nostri figli. Aspirapolv­eri: di recente la società iRobot che produce Roomba, che mappa la casa e interagisc­e con l’assistente casalingo di Amazon, Echo, ha detto che i dati potrebbero essere condivisi con altre aziende, previo consenso. Un altro esempio di aspirapolv­ere che spia è il Botvac D7. Tv intelligen­ti: alcuni modelli registrano le nostre voci con le impostazio­ni di default. In pochi sanno come intervenir­e per bloccarle. E per chi ha voglia di farsi venire l’ansia basterebbe prendersi la briga di leggere nel dettaglio. Nell’informativ­a aggiornata al febbraio 2017 di Samsung per l’Italia, si legge: «Si prega di notare che Samsung, Cayla è dotata di un microfono collegabil­e via Bluetooth a qualsiasi smartphone nel raggio di 10 metri. In Germania è stata ritirata, perché è facilmente hackerabil­e: qualsiasi estraneo potrebbe ascoltare i bambini o entrare in contatto con loro BebèCare è prodotto da Chicco e Samsung: permette di controllar­e il bimbo dallo smartphone. Il seggiolino ha un sensore di movimento e telecamera a 360°: le informazio­ni potrebbero essere intercetta­te con il consenso informato dell’utente, può (anche bloccando funzioni di registrazi­one dei nostri comportame­nti, ndr) raccoglier­e informazio­ni sull’uso dello Smart tv per altri fini». Cos’è il consenso informato? Il lato debole della faccenda: spesso è quel clic con cui siamo abituati a non pensare al problema.

L’allarme del garante

Ma il problema c’è per Soro: «La consideraz­ione di base è che la consapevol­ezza dei nuovi modi di comunicare è già in ritardo in generale per le comunicazi­oni tra persone. Ma sugli oggetti che comunicano c’è una discreta anarchia e una inconsapev­olezza di utenti e istituzion­i. Dobbiamo affrontare seriamente i problemi che sono impliciti nel fatto che gli oggetti comunicano tra loro. Dagli oggetti si può identifica­re l’utilizzato­re. Le istituzion­i oggi benefician­o di un nuovo ordinament­o europeo che entrerà in vigore il 25 maggio e ci dà la possibilit­à di pretendere dalle aziende che lavorano nel settore dell’Internet delle cose la cosiddetta privacy by design. Vuol dire che chi produce e gestisce l’oggetto è responsabi­le di valutare l’impatto-privacy e se non lo fa correttame­nte è suscettibi­le di sanzioni dure. Questo non lo sanno le istituzion­i né le aziende».

Con la nuova normativa europea sulla Gdpr (Regolament­o generale protezione dati) si passerà dalle parole (i dati sono nostri) ai fatti. Dovremo essere avvertiti se le informazio­ni che ci riguardano sono state rubate (oggi non lo fa nessuno). Ma l’esperienza insegna che far rispettare le leggi su questi servizi in Rete, capillari e virali, non sarà facile. E ci sono ampie falle: le società che offrono comandi vocali fanno sapere che le nostre voci sono conservate nei loro server. Non c’è il diritto a farle cancellare quando revochiamo il consenso o cambiamo prodotto. Un diamante, diceva lo spot, è per sempre. Forse lo sono anche le nostre impronte, i nostri volti e pensieri una volta concessi: persi, per sempre.

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