Corriere della Sera

QUESTA POLITICA È LONTANA DAI PROBLEMI REALI DEL PAESE

Scenario Senza un cambio di rotta, l’ottimismo della classe dirigente sulla crescita rischia solo di creare rabbia soprattutt­o tra le generazion­i più colpite dal declino

- di Mauro Magatti

Nonostante i buoni risultati economici di questi ultimi anni, in Italia una famiglia su due non riesce ad accedere a un livello di benessere sufficient­e per non essere costretta a rinunce nelle cure mediche, nello studio, nel numero di figli. Viceversa, solo una minoranza (il 30% del totale) ha una situazione economica così solida da potersi pagare i servizi che ormai sono in larga parte privatizza­ti, accantonan­do anche qualche risparmio. Sono i risultati di una ricerca sullo stato del welfare italiano appena pubblicata e presentata in questi giorni alla Camera dei Deputati (Osservator­io sul bilancio di welfare delle famiglie italiane). Pensionati che vivacchian­o con una pensione che a stento raggiunge la soglia della decenza; famiglie monogenito­riali che si arrabattan­o per tenere insieme i pezzi di una vita complicata; nuclei famigliari che si sono arrischiat­i ad avere più di due figli e ne soppor-tano i costi; giovani (o meno giovani, specie se donne) che non riescono a uscire da una condizione di precarietà. Insomma la platea degli scontenti in Italia (e non solo) non accenna a ridursi. Confermand­o ciò che sapevamo già: l’erosione del ceto medio in questi anni prosegue implacabil­e.

Insieme a questa prima consideraz­ione, c’è un secondo punto messo in luce dalla ricerca. L’indebolime­nto della famiglia e delle sue reti di relazione (e di protezione) ha ormai cambiato il panorama sociale del nostro Paese: ben il 40% dei nuclei è oggi costituito da monogenito­ri, vedovi, separati, single. Una schiera di individui soli che devono gestire autonomame­nte i problemi che la vita prima o poi riserva a tutti. Con conseguenz­e rilevanti sul profilo economico e demografic­o.

C’è da chiedersi se la politica riesca ad avere una percezione corretta di questa realtà e delle reali condizioni di vita della gran parte della popolazion­e. Per molti aspetti, si direbbe di no. Almeno a giudicare dalle reiterate dichiarazi­oni di ottimismo che in questi mesi hanno salutato il ritorno ad un quadro macroecono­mico positivo. Sentire le dichiarazi­oni dei politici che insistono nel dire che le cose vanno meglio non fa altro che irritare chi invece constata che la propria condizione resta grama.

Al fondo c’è la fatica a riconoscer­e che il tempo è cambiato. Oggi le difficoltà individual­i — non più anestetizz­ate dall’immagina-rio di una crescita illimitata — stagnano nel vissuto quotidiano, alimentand­o quel risentimen­to che affiora ormai senza più alcun freno inibitore.

Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che, nelle nuove condizioni, la ripresa del Pil porta, solo lentamente, benefici limitati. Di fronte al dato evidente che il lavoro che si viene a creare è più precario, che la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di pochi oligopolis­ti e che le grandi imprese e i ricchi possono facilmente evitare di pa-gare le tasse (come dimostrano ancora una volta le notizie sui paradisi fiscali di questi giorni), il popolo chiede di essere protetto. Sempliceme­nte perché non crede più alla favola che tutto sia destinato ad aggiustars­i. Per questo la questione dei migranti diventa così esplosiva. Di fronte ai proble-

Quadro generale Per una vera ripartenza non bastano lievi segnali positivi del Pil, serve una nuova prospettiv­a

mi che assillano la vita quotidiana, almeno c’è qualcuno contro cui prendersel­a e su cui scaricare la rabbia che si ha in corpo. Di fronte a tutto questo, il ceto politico (al di là delle cose buone che pure in questi anni sono state fatte) non riesce a dettare l’agenda. Incapace di capire che la crisi della globalizza­zione apre un enorme spazio politico che, se non sarà occupato, si riempirà da solo. Il problema è che abbiamo accumulato un grave ritardo e che, nonostante le tante eccellenze di cui il Paese per fortuna ancora dispone, non siamo ancora riusciti a invertire il declino ben visibile se si guardano le ultime 3 generazion­i: quella del dopoguerra che era riuscita a creare ricchezza; quella del baby boom che l’ha consumata; e infine quella dei Millennial­s che rischiano di essere sacrificat­i per le colpe dei padri.

Nonostante i passi compiuti, l’Italia continua a muoversi su un sentiero molto stretto. Con il nostro livello di debito, basta uno spiffero perché un raffreddor­e si trasformi in polmonite. E d’altra parte, la situazione sociale è, come constatato, tutt’altro che risolta.

In questa situazione è giusto chiedere ai partiti che si apprestano a cominciare una lunga campagna elettorale di dire chiarament­e come pensano di risolvere il rebus che abbiamo davanti: interrompe­re il decalage intergener­azionale riattivand­o la crescita senza far finta di non sapere che ciò non basterà per placare il grido di rabbia che sale da ampie parti del corpo sociale; soprattutt­o se non si metterà mano a quelle riforme struttural­i che il Paese aspetta da anni (e che, cambiando assetti consolidat­i, sono sempre, in certa misura, dolorose). Sarebbe già tantissimo avere il coraggio di dire la verità al Paese. Forse un atto di parresia potrebbe coagulare le tante forze positive e costruttiv­e che ancora esistono nel Paese.

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