Corriere della Sera

L’EREDITÀ DEL TENENTE CADUTO SULL’ORTIGARA

- Paolo Antolini, pantolini5­0@gmail.com

Penso che il tricolore vada comunque mantenuto, nella zona del Piave: i nostri cari morti non hanno bisogno di divisioni e vanno rispettati perché italiani che hanno combattuto per un’Italia unita. Marco Luca Mombelli

È vero,la bandiera del Leone sventola dovunque, e mille anni di storia non sono acqua, comunque siamo Veneti e Italiani. Mariagrazi­a Vianello

Ero un bambino di circa 5 anni quando mia zia mi portò a vedere l’ossario sul Grappa, con una scottatura enorme al ginocchio regalatami dalla marmitta della moto. Fanno bene ad esporre la bandiera di San Marco. Fabrizio Basei

Mio padre andò volontario a 16 anni falsifican­do i documenti, suo padre lo aveva preceduto volontario come soldato semplice nel 1915 a 44 anni essendo stato un sindacalis­ta interventi­sta. Il reportage dalla zona del fronte mi ha fatto risentire il sapore di un tempo così lontano.

Carlo Dinale

Mio padre Vittorio, nato in Egitto nel 1897, come tanti altri connaziona­li oriundi si arruolò volontario, assieme ad un mio pro-zio Aldo Piperno, per difendere la madrepatri­a nella primavera del 1916 imbarcando­si sulla motonave «Audace» nel porto egiziano di Porto Said. Tornati in Italia nel 1959, lo portai nuovamente a Cima Grappa ed egli, con straordina­ria memoria mi portò attraverso un lungo tunnel sino alla sua postazione dicendomi «vedi gli austriaci erano a venti metri da qui». Arturo Cuzzer

Il potere della parola fa veramente rivivere il passato. Mio nonno, classe 1898, quando ero bambina mi raccontava del Piave, della sua grande paura, della fame perenne, ma era come ascoltare una brutta fiaba. Ora a rileggere questo stralcio della nostra storia provo quel magone che si presenta quando ascolto l’inno di Mameli. Clara Bottesella Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

lettere@corriere.it lettereald­ocazzullo @corriere.it

Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

perché, pur ricorrendo il centenario della Grande Guerra, nessuno parla della Battaglia dell’Ortigara? Un episodio su cui regna ancora confusione dopo cento anni .

Caro Paolo,

vero, quest’anno ricorre il centenario anche della battaglia dell’Ortigara: sanguinosa e inutile. Il nostro modo per ricordarla è dare voce al tenente degli alpini Adolfo Ferrero, che si congeda dai genitori, dal fratello Beppe e dalla sorella Nina con una lettera straziante. Un testamento morale e materiale, che affida all’attendente, compreso il portafogli­o con cento lire, che per una famiglia modesta come la sua sono molte. Il giorno dopo il tenente Ferrero cade sull’Ortigara, ma anche l’attendente muore, e il ghiaccio ricopre il suo corpo; che verrà ritrovato solo nel 1958. Gli abitanti di Asiago si mettono alla ricerca della più giovane tra i destinatar­i della lettera, Nina, che però proprio non si trova. Fino a quando non telefonano a una famiglia Ferrero di Torino: «Avete perso un ragazzo di nome Adolfo nella Grande Guerra?». «Noi no, ma anche Nina, la nostra donna delle pulizie, si chiama Ferrero, potremmo chiederlo a lei». Era la sorella di Adolfo, che poté leggere il suo testamento e ora riposa al suo fianco ad Asiago. Eccone qualche stralcio. «Cari genitori, avrei rimorso se non dedicassi a voi questi istanti di libertà, per darvi un ultimo saluto. Voi sapete che odio la retorica… No, no, non è retorica quella che sto facendo. Sento in me la vita che reclama la sua parte di sole; sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa, ma orrenda. Penso in queste ultime ore di calma apparente, a te, Papà, a te, Mamma, che occupate il primo posto nel mio cuore; a te, Beppe, fanciullo innocente; a te, Nina. Io non ho paura! Mi sento commosso, pensando a Voi, a quanto lascio, ma so che devo mostrarmi forte dinanzi ai miei soldati, calmo e sorridente. Quando riceverete questo scritto, fattovi recapitare da un’anima buona, non piangete. Siate forti come avrò saputo esserlo io. Un figlio morto in guerra non è mai morto. O genitori, parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me, morto a vent’anni per la Patria. Parlate loro di me; sforzatevi di risvegliar­e in loro il ricordo di me… Che è doloroso il pensiero di venire dimenticat­o da essi. Fra dieci, vent’anni, forse non sapranno più di avermi avuto fratello…A voi, Babbo e Mamma, un bacio, un bacio solo che dica tutto il mio affetto. A Beppe, a Nina un altro e un monito: ricordatev­i di vostro fratello. Siate buoni. Il mio spirito sarà con voi sempre. A Voi lascio ogni mia sostanza. È poca cosa. A Mamma, a Papà lascio il mio affetto immenso. Alla zia Eugenia, il crocefisso d’argento; al mio zio Giulio, la mia madonnina d’oro. La mia divisa a Beppe, come le armi e le robe mie. Il portafogli­o (lire 100) lo lascio all’attendente. Un bacio ardente d’affetto dal vostro affezionat­issimo Adolfo».

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