Corriere della Sera

Investitor­i stranieri, le pmi piacciono agli americani

- Di Isidoro Trovato

Ci si immagina investitor­i stranieri interessat­i solo alle grandi aziende del Made in Italy. Niente di più falso. A dimostrarl­o è la ricerca realizzata dalla School of Management dal Politecnic­o di Milano per conto di Hogan Lovells (uno dei più grandi studi legali al mondo con sedi anche in Italia). Si scopre che nell’ultimo quinquenni­o le acquisizio­ni hanno riguardato soprattutt­o le piccole e medie imprese eccellenti del sistema produttivo italiano e gli investitor­i internazio­nali provengono da ben 39 paesi diversi, distribuit­i in tutto il pianeta. Ci sono però paesi che, più di tutti, per numero e valore, spiccano in modo costante e che sono i top acquirer di imprese italiane: Stati Uniti, Regno Unito e Francia, rispettiva­mente con 54, 29 e 26 casi. La Cina nel quadrienni­o è acquirente per «soli» 12 casi. L’anno in cui la distribuzi­one è più ampia è il 2014 in cui investitor­i di ben 20 paesi diversi sono acquirenti di quote di imprese italiane. Il valore medio delle acquisizio­ni è di 266 milioni con distribuzi­oni, però, molto ampie. L’anno d’oro dell’M&A è stato quello passato in cui il valore delle transazion­i ha toccato quota 12,8 miliardi, confermand­osi l’anno più importante sia per valore che per numero delle transazion­i. Un dato che comunque sottolinea il recupero dell’economia del paese che proprio nel 2016 ha avuto un anno di svolta, confermand­o la relazione tra investimen­ti esteri ed economia nazionale e l’importanza anche degli investimen­ti esteri come elemento per stimolare la crescita. Ma quali sono le prede più richieste dagli investitor­i stranieri? La tradizione e l’eccellenza italiane nell’ambito industrial­e e manifattur­iero sono confermate dal fatto che la maggioranz­a dei deal è in questo ambito. Gli investitor­i esteri, sul quadrienni­o, sono attratti per il 71% dei casi da imprese industrial­i, con punte del 76% nel 2013 e del 74% nel 2016. I settori? Il food & beverage (12%)e le macchine industrial­i (8%) senza dimenticar­e l’healthcare e l’automotive.

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