Benedetto XV e la Grande guerra Così l’«inutile strage» divenne «utile»
Bilanci Nel 1917 la lettera del Papa per fermare il conflitto. Cento anni dopo va riconosciuto che fu proficua per il Vaticano negli equilibri internazionali
Allo scoppio del primo conflitto mondiale il papato — indebolito dalla presa di Roma che «aveva reso precaria e anormale la condizione» della Santa Sede (parole del cardinale Pietro Gasparri), dal Kulturkampf germanico, dal veto austriaco al cardinale Rampolla nel Conclave del 1903, dalla «separazione» francese del 1905 e portoghese del 1911 — verrà ulteriormente isolato dalla politica di Pio X ma, soprattutto, dalla clausola segreta del Patto di Londra (26 aprile 1915, resa nota dalla «Pravda» nel 1917) che — sulla linea adottata dall’Italia fin dal 1872 e perseguita da Salandra e Sonnino, con l’eccezione delle «Esposizioni Universali» — impegnava le potenze dell’Intesa ad escludere il Vaticano da tutte le future trattative per la pace e per «regolare le questioni sollevate dalla presente guerra». «Gravissimo errore» lo definiva il cardinale Merry del Val, segretario di Stato di papa Sarto (Pio X), nel novembre del 1915, anche perché proprio il Pontefice avrebbe potuto e dovuto presiedere il Congresso per la pace, che avrebbe dovuto anche «salvaguardare i diritti sacrosanti e le essenziali rivendicazioni» territoriali del medesimo, come sosterrà ancora la Germania l’anno dopo.
In realtà, nell’estate di cento anni fa, «si verificò uno straordinario impegno della Santa Sede per far cessare la guerra» e per favorire una possibile intesa tra l’Italia di Vittorio Emanuele III e l’Austria del nuovo imperatore Carlo I . Ma, il 1° agosto, con una Nota resa pubblica il 7, papa Benedetto XV, che già nel 1915, aveva definito la guerra una «orrenda carneficina che disonora l’Europa», si rivolgerà alle potenze belligeranti per sottoporre specifiche proposte di pace onde arrivare «quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda la quale, ogni giorno di più, apparisce inutile strage», pur consapevole, come dichiarò al gesuita padre Rosa, della «inutilità o del fallimento» dell’iniziativa cui si era sentito «obbligato per ragioni spirituali». Una Nota che Papa Ratzinger esalterà nel 2007, definendola «orientata al futuro dell’Europa e del mondo secondo un progetto cristiano... fondato sul diritto delle genti» e che l’«Avvenire» celebrerà il 24 maggio 2015, mentre papa Francesco, a Redipuglia nel 2014, dichiarerà che «la guerra è sempre una follia».
A suo tempo, invece, il ministro Bissolati aveva definito le autorità vaticane «coloro che in nome della religione di Cristo maledicono alla guerra, non però alla guerra germanica e austriaca che ha devastato mezza Europa», definizione che Gasparri considerò «una dichiarazione di guerra». Nel 1920 il papa dichiarò, inoltre, che una Lega tra le nazioni — dove non era riuscito a ottenere nemmeno «uno strapuntino» ed era stato «ingiuriato» e trattato come «un Patriarca dal Sultano o il Dalai Lama del Tibet» — avrebbe avuto un ruolo solo se «fondata sulla legge cristiana», pur assicurando, un anno dopo, la disponibilità della Santa Sede a concludere, con i nuovi Stati nati dai Trattati di pace (nei quali, però, «erano rimasti i semi di antiche discordie»), «patti» che tenessero conto delle «mutate condizioni politiche», ma l’impossibilità di concedere loro quei «privilegi» goduti in passato dagli Stati prebellici.
In ogni caso se si guarda agli sviluppi geopolitici prodotti dal conflitto con effetti anche sulla situazione del Vaticano negli equilibri nazionali e internazionali, si deve riconoscere, cento anni dopo, che quella «strage» fu «utilissima» per il «Sovrano Pontefice». Non solo Benedetto XV riconobbe nel giugno 1921 che l’isolamento della Santa Sede era superato, ma tra il 1917 e il 1924 le rappresentanze diplomatiche in Vaticano raddoppiarono, con la ripresa di relazioni con la Francia e il consolidamento dei rapporti con la Germania post-bellica grazie all’azione del nunzio Pacelli che già, in un «voto» per il cardinal Gasparri dell’inizio del 1916, aveva sostenuto che i regimi concordatari non erano sempre migliori di quelli di «separazione», ma che, comunque, nel Novecento sarebbero proliferati (quasi 20 tra il ’19 e il ’39). Del resto anche un osservatore attento e sensibile come il «modernista/democristiano» don Romolo Murri, constatò che la guerra «era divenuta... per la Santa Sede una magnifica opportunità» per «rientrare nel circolo della politica europea» grazie so- prattutto alla sua «rigorosa neutralità».
Ma, e soprattutto, nel 1919, proprio nella Parigi della Conferenza di pace si posero le basi di quella intesa che, dieci anni dopo, porterà alla Conciliazione di Mussolini. Nell’incontro tra monsignor Cerretti, inviato del cardinale segretario di Stato, Gasparri, e il presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando, si trovò un accordo sul riconoscimento della sovranità del Pontefice, sulla creazione di uno Stato vaticano e sulla riforma concordata delle leggi ecclesiastiche. Accordo che non potè avere un seguito per la decisa opposizione di Vittorio Emanuele III, ma che, alla Costituente, nel marzo 1947, Orlando affermò essere stata «la base degli Accordi lateranensi... definitivamente conclusa» da lui consentendo «al patto centrale dell’accordo e della pacificazione». E Cerretti dichiarò più volte di essersi ispirato alla situazione di San Marino. Per non ricordare che dopo la guerra si rinforzarono l’unità politica dei cattolici e i sindacati cristiani, e nacquero i primi partiti popolari.
Le relazioni internazionali degli ultimi cento anni confermano il progressivo ruolo politico della diplomazia ecclesiastica nel mondo. Si pensi alla attiva partecipazione alla Conferenza di Helsinki (Csce) del 1975 e alla posizione di «Stato osservatore» alle Nazioni Unite. Manca ancora una presenza del «Sovrano» del Vaticano nel cerchio magico della cosiddetta summit diplomacy. Ma non è detto che, prima o poi, il Papa non venga invitato a qualche incontro tra i «grandi» della Terra. Basta solo aspettare, e non è detto che ci voglia un’altra «utile strage» (forse quella Terza guerra mondiale «a capitoli» di cui parla papa Bergoglio) per rafforzare quella «temporale sovranità» che per Leone XIII è l’unico mezzo con cui la Provvidenza «tutela come si conviene la libertà dei Papi» (1887).
Fine dell’isolamento Tra il 1917 e il 1924 le rappresentanze diplomatiche in Vaticano raddoppiarono