«Agli Uffizi ho visto gente svenire davanti a Botticelli»
Il direttore parlerà delle emozioni nell’arte. E della sua esperienza a Firenze
scopre giocattoli nuovi».
Ha avuto elogi e critiche.
«Ma io non mi lascio mica spaventare. Io penso ancora che gli Uffizi siano una macchina straordinaria, e se me ne vado a Vienna è perché il Kunsthistorisches è una delle istituzioni più importanti, ma insieme al Louvre, agli Uffizi e ai Musei Vaticani».
Solo questo?
«No, c’è anche il fatto che lì si fa tanta ricerca. Il museo non è solo un luogo di esposizione, ma è vivo, scopre ogni volta cose nuove. Come fanno all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze: ogni restauro non si limita a questo, ma è anche un pezzo di ricerca scientifica».
Ma perché ha annunciato così in fretta la sua dipartita quando mancano ancora più di due anni?
«Per correttezza. Non mi piacciono i giochetti e poi la riforma italiana prevede proprio la rotazione dei direttori, nell’ottica di non essere più inamovibili, incollati alle poltrone. Era quello che si chiedeva, no?».
Passioni nell’arte: lei avrà solo l’imbarazzo della scelta.
«Eh sì, il Rinascimento è stato un trionfo di passioni. Faccio un esempio: il Laocoonte di Baccio Bandinelli degli Uffizi, restaurato qualche anno fa. All’epoca la gente si fermava a guardarlo e cercava di interpretare il suo volto, per decifrarne le emozioni. Era uno spettacolo non solo artistico ma anche psicologico. Ma a Lugano vorrei parlare anche dell’importanza dell’arte nella terapia. Una cura che parte dalle passioni che un dipinto o una scultura possono generare in chi guarda».
Eike Schmidt, 49 anni, storico dell’arte è il direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze. Schmidt è nato a Friburgo in Brisgovia L’intervento A «Visioni» di Lugano cercherò dei ponti tra le passioni e le espressioni dei volti nell’arte italiana
Due milioni i visitatori l’anno scorso.
«E questo ovviamente è un bene. Ma quello che un buon museo deve fare è rendere fruibili le opere. È inutile avere una collezione vastissima se la gente ne vede solo una parte».
Qual è la sfida più ardua per un museo che guarda al futuro?
«Quella digitale. E non parlo solo di siti o di attività sui social network. Parlo di una divulgazione sempre più allargata dei saperi che la scienza deve compiere, senza restare arroccata su se stessa. Oggi ci sono ancora le comunità scientifiche si trasmettono all’interno delle conoscenze come se si trattasse di un rito iniziatico. Ma non può funzionare a lungo. La gente viene al museo perché sa già che ci troverà quell’artista o quel capolavoro. Trovare il modo di divulgare con serietà, sì, ma anche col giusto tono che si deve usare con un pubblico vasto, è la vera grande sfida».
Una passione recente?
«Quella per il cinema».
Certo, lei ha portato per la prima volta agli Uffizi una mostra su Ejzenštejn.
«Titolo: La rivoluzione delle immagini. Ecco, quello che ci vuole è una rivoluzione ejzensteniana: meno didascalie, più cultura del montaggio».