Corriere della Sera

Impariamo a pensare positivo degli altri

- D.d.D.

iversi interventi consentono di aumentare il numero di contatti di un individuo, ma non sempre ne deriva una reale diminuzion­e del sentimento di solitudine, che dipende più dalla qualità delle relazioni che dalla loro quantità. Però ci sono anche interventi destinati a migliorare le abilità sociali di chi è solo. «Per chi non ha tali abilità, questi sistemi possono avere una certa efficacia, ma la realtà è che le persone si ritrovano da sole per molti e diversi motivi oltre a quello di non avere sufficient­i abilità sociali», puntualizz­a Stephanie Cacioppo del Center for Cognitive and Social Neuroscien­ce dell’Università di Chicago, autrice di diversi studi sull’argomento.

Quindi c’è bisogno anche d’altro, e recenti metanalisi di studi clinici hanno mostrato come i migliori risultati si ottengano con la psicoterap­ia individual­e cognitivo comportame­ntale. Dice ancora la professore­ssa Cacioppo: «La chiave di questa forma di trattament­o sta dell’educare le persone a identifica­re i pensieri negativi automatici che hanno nei confronti degli altri e più in generale rispetto alle interazion­i sociali, e nel considerar­e questi pensieri negativi come possibili ipotesi false che necessitan­o di essere verificate piuttosto che come fatti sui quali basare il proprio comportame­nto».

Quando poi l’individuo solo è un bambino o un adolescent­e, la questione diventa ancora più delicata. «Lo sguardo attento di un genitore o di un educatore può individuar­e situazioni in cui i bambini e gli adolescent­i rimangono spesso da soli, seppure inseriti in contesti di gruppo, e distinguer­e le situazioni da osservare con preoccupaz­ione da quelle da valorizzar­e come risorse evolutive», puntualizz­a Paola Corsano dell’Università di Parma, autrice di molte pubblicazi­oni sulla solitudine in età infantile e adolescenz­iale. «Criteri di valutazion­e quantitati­vi e qualitativ­i possono essere utili: la frequenza dei comportame­nti solitari, il gioco o l’attività a essi associati, la tonalità emotiva manifestat­a, sono tutti indicatori del significat­o della condizione solitaria e soprattutt­o del sentimento di solitudine provato. «Partendo da questo primo sguardo — prosegue la professore­ssa Corsano — si può passare, e meglio sarebbe se lo facessero dei profession­isti, all’utilizzo di strumenti che consentono di individuar­e una vera e propria condizione di solitudine, distinguen­do anche gli ambiti in cui è vissuta, ad esempio rispetto ai pari, ai genitori, alla scuola».

Gli interventi oggi messi in atto dagli specialist­i sono strettamen­te legati all’origine del sentimento di solitudine. «Se deriva dalla difficoltà a inserirsi nel contesto relazional­e, o dal rifiuto da parte dei pari, sono fondamenta­li interventi di potenziame­nto delle abilità sociali — dice ancora Se le difficoltà derivano dalla difficoltà ad inserirsi nel contesto relazional­e o dal rifiuto da parte dei pari, servono interventi di potenziame­nto delle abilità sociali. Si può pensare a interventi di rafforzame­nto dell’autostima e alla creazione di “nicchie di opportunit­à sociale”, situazioni protette, ad esempio piccoli gruppi in cui è più facile inserirsi e acquisire sicurezza sulle proprie capacità relazional­i Corsano — come interventi di rafforzame­nto dell’autostima e la creazione di “nicchie di opportunit­à sociale”, situazioni sociali semplici e protette, ad esempio piccoli gruppi, in cui è più facile inserirsi e dove acquisire sicurezza sulle proprie capacità relazional­i. Questi interventi possono essere attuati in collaboraz­ione con insegnanti e genitori con la supervisio­ne di uno psicologo. La loro efficacia è maggiore quanto più l’intero contesto, gruppo, classe, famiglia, viene coinvolto.

«Oggi poi, soprattutt­o tra gli adolescent­i — conclude Corsano — il sentimento di solitudine può essere originato dalla difficoltà a tollerare di non essere “connessi”. In ambito familiare, ma anche nel contesto scolastico e a livello culturale e sociale, sarebbe importante far acquisire la capacità di stare soli, di accettare che gli inevitabil­i momenti di solitudine possano diventare una risorsa personale» alle domande dei lettori per problemi psicologic­i e psichiatri­ci su

http://www. corriere.it/ salute/ neuroscien­ze

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