L’attività fisica costante aiuta persino a prevenire la malattia di Parkinson
Uno studio indica che l’esercizio è una delle variabili associate a minori possibilità di sviluppare la patologia
attività fisica si conferma valida alleata contro il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson, mentre il lavoro intellettualmente impegnativo potrebbe giocare un ruolo sfavorevole.
Queste e altre indicazioni emergono dagli studi condotti e pubblicati nel mondo negli ultimi vent’anni per individuare quali fattori (genetici, ambientali, oppure legati allo stile di vita, o ad altre patologie concomitanti) possono incidere sul rischio di sviluppare questa malattia legata in primo luogo all’alterazione dei neuroni che utilizzano il neurotrasmettitore dopamina.
Esaminando quasi ottocento studi con un impegno durato sei mesi, le due principali società scientifiche che nel nostro Paese si occupano di disturbi del movimento, l’Accademia Limpe-Dismov e la Fondazione Limpe per il Parkinson, hanno verificato come non tutte le ricerche siano state svolte con uguale rigore scientifico e hanno effettuato un’accurata revisione, le cui conclusioni saranno presentate in occasione della Giornata Nazionale Parkinson, il 25 novembre prossimo.
«Con il contributo del professor Giovanni Defazio, dell’Università di Cagliari, abbiamo valutato gli studi in merito ai diversi fattori di rischio o protettivi segnalati dalla banca dati PubMed (la più grande banca dati medica del mondo ndr) — spiega Alfredo Berardelli, professore di neurologia all’Università La Sapienza di Roma e presidente della Fondazione Limpe —. Sulla base del numero di ricerche, del loro rigore scientifico e della concordanza dei risultati siamo giunti a definire quali fattori mostrano un “indice di associazione” elevato, medio o basso con l’aumento o la riduzione del rischio di sviluppare la malattia di Parkinson, quali fattori invece si dimostrano ininfluenti e, infine, quali necessitano di ulteriori ricerche per chiarirne gli effetti».
Tra i fattori di rischio con alto indice di associazione spiccano i traumi cranici, i disturbi del comportamento nel sonno e quelli dell’umore. Vi si ritrovano pure il sesso maschile, la stipsi e, con valenza però minore, la familiarità.
«Per l’esposizione agli idrocarburi il numero di studi validi è significativo e concordano nel definire una delle più forti associazioni con lo sviluppo della malattia» puntualizza il professor Defazio.
Inatteso, invece, l’emergere, tra i fattori di rischio, dell’attività lavorativa intellettualmente impegnativa. Una spiegazione potrebbe essere che le persone impegnate in una professione intellettuale sono meno dedite all’attività fisica e stanno meno all’aperto in aree extraurbane (entrambi fattori “protettivi”), hanno una elevata scolarità (segnalata come fattore di rischio, anche se con indice basso), sono in maggioranza uomini (anche se i maschi sono colpiti dal Parkinson una volta e mezzo più delle donne a prescindere dal livello culturale e dall’attività lavora- L’esperto risponde alle domande dei lettori sul Parkinson all’indirizzo http://www.corriere.it/salute/ parkinson/forum-parkinson
Fattori predisponenti Traumi cranici, disturbi del sonno e dell’umore si riscontrano spesso in chi ha il «morbo»